Si tratta della prima mostra dedicata al pittore milanese, uno dei ritrovati protagonisti dell’età di Federico Borromeo. L’artista, formatosi a Roma, è uno dei più significativi e validi rappresentanti della cultura figurativa di derivazione caravaggesca operosi in area piemontese e lombarda. Il suo catalogo si è venuto ad ampliare in anni recenti, con il riconoscimento nei depositi dei musei di opere non considerate o con la comparsa sul mercato antiquario di tele finora inedite.
La mostra e il catalogo che l’accompagna, edito da Skira, intendono fare il punto sulle nuove acquisizioni e inquadrare correttamente l’artista nel suo tempo.
Nato con tutta probabilità a Milano intorno al 1582, Giuseppe Vermiglio raggiunse già nel 1604 Roma, dove i documenti lo ricordano giovane apprendista nella bottega di un oscuro pittore perugino. Sembra questa la prima educazione artistica del pittore milanese, approdato nella capitale negli stessi circuiti sociali e culturali battuti dal grande Caravaggio che da subito si qualifica come l’indiscusso modello dell’artista. Oltre alle affini inclinazioni pittoriche, caratterizzate da una simile propensione al naturalismo, come emerge dall’unica opera datata del periodo romano l’Incredulità di San Tommaso in San Tommaso ai Cenci, il Vermiglio sembra condurre un’esistenza per molti aspetti vicina a quella del grande pittore lombardo tra taverne, risse ed arresti per porto abusivo d’armi. Tutto ciò non gli impedì di lavorare per grandi committenti della Roma dell’epoca fra i quali emerge senza dubbio il nome di Vincenzo Giustiniani, grande mentore dei caravaggeschi approdati dal Nord nella capitale.
Documentato a Roma fino al 1619, il Vermiglio svolse nella capitale anche il ruolo di mercante, acquistando dipinti per conto dell’ambasciatore del Granduca di Toscana. Abbandonata l’Urbe in un momento in cui il recupero del classicismo operato dalla scuola bolognese aveva già largamente trionfato sugli entusiasmi caravaggeschi dei più stretti seguaci del Merisi, egli fece ritorno in patria al principio del terzo decennio del Seicento, convolando a nozze a Milano con la figlia di un rinomato notaio.
Prende da qui avvio una nutrita serie di commissioni per importanti ordini conventuali: i Domenicani di Novara e i Canonici Lateranensi di Novara e di Tortona. Per la stessa congregazione l’artista lavora anche a Milano dove a partire dal 1625 lascia importanti opere nella splendida chiesa di Santa Maria della Passione e a Menaggio sul lago di Como. Alla Passione il Vermiglio si trova a collaborare con Daniele Crespi, un grande protagonista della pittura milanese di questi anni. I due artisti realizzano alcune delle tele che compongono il notevole ciclo della “Via Passionis” che orna il tamburo della cupola della Chiesa, temperando il realismo appreso durante il periodo romano con accenti più accademici, certamente apprezzati dalla committenza locale. In questi anni Vermiglio sembra risiedere a Milano, lavorando anche probabilmente per privati per i quali replica volentieri soggetti cari al suo repertorio: il Sacrificio di Isacco e il Davide e Golia, modelli chiaramente desunti dalle realizzazioni dello stesso Caravaggio. Sempre a Milano sembra prendere il via una delle esperienze più interessanti per il pittore: il lavoro per i certosini di Pavia. Amico dei monaci che gli affittano anche la casa dove risiede a Milano, l’artista licenzia per il grande cantiere pavese una serie di tele raffiguranti Santi dell’ordine probabilmente a partire dal 1627. Confinato in quarantena ad Abbiategrasso, egli riesce a scampare alla minaccia della terribile peste del 1630, rimanendo nel capoluogo lombardo fino al 1633. Nel 1634 troviamo il Vermiglio ad Asti, un soggiorno di cui purtroppo non restano opere, mentre nel 1635 lavora per la corte di Torino, probabilmente l’ultima delle tante fatiche dell’artista.
In mostra l’attività romana dell’artista è ben documentata dalla Incoronazione di spine, appartenente alla collezione dell’ABI, opera improntata ad un forte natruralismo chiaramente debitore di Caravaggio. Risultano di particolare interesse anche gli accostamenti di soggetti ripetutamente affrontati dall’artista (il Sacrificio di Isacco e il Davide e Golia, in particolare) in cui appare evidente l’evoluzione della sua poetica. Sono ben documentati, inoltre, i numerosi dipinti realizzati per i Canonici Lateranensi (dalla chiesa di Santa Maria della Passione a Milano giunge i Funerali di S. Tommas Beckett, mentre dalla Chiesa di San Carlo di Menaggio arrivano due imponenti pale d’altare – Tre santi e Pietà con due Santi vescovi e due committenti) e il lavoro compiuto per i Certosini di Pavia. Altro grande “telero” presentato a Campione è l’Adorazione dei Pastori, già in Santa Maria delle Grazie di Novara, ora alla Pinacoteca di Brera, posto in diretto confronto con uno splendido bozzetto di collezione privata inglese.
Fra i prestatori, sia italiani che stranieri, figurano musei (Pinacoteca di Brera, Museo della Certosa di Pavia, Musei Civici di Milano, Pinacoteca Repossi di Chiari), chiese (Cattedrale di Tortona, Santa Maria della Passione e San Vittore al Corpo di Milano, San Carlo di Menaggio) e alcuni avveduti e raffinati collezionisti privati.
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