La Parigi del dopo guerra è un crogiuolo di esperienze artistiche, avventure umane, incontri. Dalla metà degli anni Quaranta, la poetica informale ha cominciato ad affermarsi in tutta Europa. A Parigi, nel 1945, tre personali sono dedicate, rispettivamente a Jean Fautrier, che espone gli Otages, a Dubuffet con le litografie per i testi di Ponge e Guillevic, e a Wols. Nel 1951, con la mostra Véhémences Confrontées e, l’anno dopo, con la pubblicazione del volumetto Un art autre, Michel Tapié traccia le tappe fondamentali di una prima sistematizzazione critica.
La poetica dell’Informale, con la sua genesi profonda nello sviluppo del segno, della materia, o del gesto, segnò il destino della pittura per almeno vent’anni, moltiplicando le esperienze personali e le affermazioni individuali, che, tutte, potevano tuttavia ricondursi a una ricerca che rifletteva in primo luogo una nuova condizione esistenziale. Accanto all’Informale Parigi vide tuttavia la contemporanea e agguerrita presenza di altri movimenti e tendenze, dalla “resistenza” (E. Crispolti) del Concretismo che, nel 1945, riaffermò i valori delle forme geometriche e dei colori puri alla mostra Art Concret, alla vitalità del Surrealismo (Tapié citò le cere di Victor Brauner in Art autre), alla eccentricità aggiornata dell’esperienza di Wilfred Lam. Segno e gesto, materia e macchia, “astrazione lirica” e postcubismo designarono una vicenda vivacissima e complessa, fatta di affinità e contrasti, di mostre e scritti fondamentali. Una vicenda che fu seguita, con arguto interesse e fiducia nei valori puri di un’arte che si affermava nel corso di dibattiti cocenti, da uno sparuto gruppo di collezionisti italiani, in particolare lombardi, che la vollero condividere da vicino tracciando una pagina interessantissima nella storia del collezionismo italiano. Fu così, infatti, che opere di Hartung (T U 42, 1962) e di Fautrier, Wilfred Lam (Figura in bianco e nero, 1959), di Michaux, di George Mathieu (Petit engagement de Chevaliers devant le muret, 1954) di André Lansk, di Camille Bryen, di Vasarely, Serge Charchoune e Sebastian Matta, Asger Jorn (Conversazione a sei, 1953), di Pierre Alechinsky (Senza titolo, 1957) e Poliakoff (Composition, 1952) raggiunsero le dimore italiane di questi primi seguaci di quella pittura. La mostra Pittura a Parigi 1945-1970 presenta l’entusiasmante vicenda che in parte fu detta École de Paris. Gli “Italiani a Parigi” che ne seguivano i destini, questo ristretto gruppo di colti collezionisti e galleristi che si radunavano ogni venerdì presso il ristorante da Alfio in Via Senato a Milano per discutere d’arte, raccontano un capitolo di quella ventennale vicenda artistica, che per la prima volta si rivela in questa mostra, accostando, ad opere di primo piano mai esposte finora, testimonianze di una costante fedeltà che si tradusse in lettere, dediche, fotografie.
Alle opere degli stranieri si affiancano infine i lavori degli italiani Enrico Baj, Gianni Bertini, Arturo Bonfanti, Cesare Peverelli, Bruno Pulga, protagonisti di primo piano nello scenario artistico di quegli anni.
Accompagna la mostra un catalogo, edito dalla Fondazione Credito Valtellinese, a cura di Beatrice Buscaroli, contenente la riproduzione delle opere esposte, testimonianze di documenti dell’epoca e le schede biografiche degli artisti a cura di Cristina Piccapietra e Elisabetta Mossinelli
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