La galleria di ritratti proposti da Enrico Baj prende spunto dal celebre romanzo proustiano, “I Guermantes”, terza parte de “Alla ricerca del tempo perduto”.
La serie, composta di 164 ritratti, tutti di piccole dimensioni, eseguiti nel 1999 (di cui quarantasette sono in mostra), pur ispirandosi direttamente romanzo, non intende esserne la semplice illustrazione, ma il pretesto per la creazione artistica che per Baj nasce spesso dalla
suggestione verbale e letteraria.
I ritratti – tra i quali vi sono anche alcuni protagonisti dell’Affaire Dreyfus – rappresentano il carattere dei personaggi più che le loro fisionomie: i Guermantes sono, nell’affresco proustiano, i modelli del grande mondo dell’aristocrazia, col suo fascino fatto di bizzarria
sconfinante nell’anormalità , di vanità e d’ambizioni vane e inutili. La tecnica, il collage polimaterico come l’opera ispiratrice, è un viaggio a ritroso nel tempo perduto: stoffe, tappezzerie, passamanerie, cordoni,
fiorami, trine, lustrini, quadranti di vecchi orologi, frammenti di specchi, pezzi del meccano, spille di latta dell’ex Unione Sovietica e medaglie sono gli oggetti banali, d’uso quotidiano della borghesia d’altri tempi (e -in questo caso – dell’aristocrazia), che hanno in sé il sapore dei ricordi, dei vecchi cimeli di famiglia. Attraverso l’assemblaggio, l’artista recupera il kitsch borghese, decontestualizzandone gli oggetti-feticci e trasformandoli negli emblemi ben confezionati di una
sostanziale incultura del gusto. I materiali non hanno qui solamente un significato di recupero, ma sono simboli di censo e discriminazione sociale. I volti, ricomposti attraverso questi elementi eterogenei ai quali devono la loro identitĂ e aspetto, sono fisionomie grottesche, deformate con accentuazioni espressioniste, maschere che evidenziano esasperatamente alcuni caratteri, ritratti ironici e tragicomici. Il segno, infantile e capriccioso, evidenzia la deformazione dei tratti fisionomici, grazie alle risorse del trovarobato.
Lo sperimentalismo di Baj è indice della sua inesauribile curiosità e libertà da ogni pregiudizio che lo porta ad utilizzare i materiali più disparati, combinandoli in modo complesso, per manifestare le sue urgenze espressive.
L’artista, tra i massimi esponenti dell’irrazionalismo italiano è passato attraverso molteplici esperienze. Nato a Milano nel 1924, ha studiato all’Accademia di Brera, laureandosi contemporaneamente in legge. Ha abbandonato la professione forense, negli anni Cinquanta, per dedicarsi alla pittura, recandosi a Parigi e Bruxelles per approfondire la propria conoscenza dei movimenti d’avanguardia. Nel 1951, è tra i fondatori del Movimento Nucleare. Nel 1953, partecipa all’esperienza della Bauhaus
Imaginiste di Asker Jorn. Nel 1963, dopo l’incontro con Breton e l’interesse per il surrealismo, fonda l’Istituto Patafisico Milanese.
Stilisticamente sperimenta diverse tecniche, in grande libertà : dagli esordi pittorici passa all’utilizzo del collage e dell’assemblaggio di elementi polimaterici, realizzando numerosi cicli di opere tra cui ricordiamo i notissimi Generali, oltre a una produzione cospicua di
ready-made e libri d’artista. Recentemente Baj ha lavorato alla rivisitazione e rielaborazione, in chiave ironica, di alcuni capolavori della storia dell’arte, tra cui le trascrizioni polimateriche di “Guernica” di Picasso o dei “Funerali dell’anarchico Galli” di Carrà o, ancora, le
recentissime “Die Mythologie des Kitsches”, che ritraggono gli orsacchiotti postmoderni di Jeff Koons.
Rossella Moratto
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