Continua alacremente l’attività espositiva di Palazzo Lanfranchi a Matera, sotto l’attenta gestione della direttrice Agata Altavilla e del soprintendente, nonché curatore, Paolo Venturoli. Questa volta l’interesse ricade su uno dei personaggi più importanti della storia lucana: Carlo Levi, pittore soprattutto, ma anche medico, pensatore, politico e scrittore. Grazie alla Fondazione Levi di Roma, sono stati affidati al museo materano, in sub-comodato, 199 dipinti e una scultura.
L’esposizione occupa due piani del museo e permette di ripercorrere il percorso stilistico dell’artista dagli anni Venti agli anni Settanta, periodo nel quale confluiscono soggetti e scene semplicemente abbozzati, diremmo quasi “caricaturali”. Immagini contraddistinte da un’estrema semplificazione formale dei personaggi e da un carattere atemporale (Autoritratto con cappello, Francesca seduta a corpo intero, 1928), quadri in cui il colore diventa materico, con grosse ed intense campiture cromatiche che invadono la scena (Natura morta con tanta uva, del 1933 e La Santarcangelese del 1936).
In queste opere possiamo senz’altro individuare forti riferimenti alle avanguardie storiche: dalle raffinate decorazioni di Henri Matisse (Piccolo nudo rosa 1928), al contorno continuo e fluido di Amedeo Modigliani (Bagnanti – Bello è veder piovere sui monti del 1930), alla pittura intimistica di Vincent Van Gogh (Ritratto rosso della madre 1930), suggestioni riprese nella costante ricerca di nuove tematiche e sviluppate con tecniche e soluzioni stilistiche del tutto personali.
Della vastissima produzione di Carlo Levi, almeno un centinaio di opere furono prodotte durante gli anni del confino e per molte di loro la mostra materana rappresenta un esordio assoluto. “Un artista colto e raffinato, come afferma Paolo Scalpellini, “ricco di dinamismo mentale, al quale poche misere cose bastano per consentirgli di esprimere efficacemente dei grandi valori”. Levi usa la pasta cromatica in funzione essenzialmente espressiva, traducendola in “traiettorie ondose” -come le definì l’autore stesso- attribuendo alla linea la facoltà di trasformarsi, fluire, distorcersi continuamente in rivoli informi, che quasi inghiottono i personaggi.
I numerosi paesaggi lucani (Paesaggio di Aliano o Aliano in grigio – rosa 1935), i ritratti di fanciulli contadini (Il Capitano e le volpi 1935), le inquietanti immagini di Giulia, la “strega” di Santarcangelo, ma anche i personaggi legati all’affettività dell’artista ( Mamma e Lelle con ritratto di Vitia 1929, Lella vestita di rosso, cappello cloche rosso 1929, Riccardo, pigiama a righe rosso e verde 1929): tutte queste immagini ci proiettano in un mondo denso di suggestioni e mistero, un’atmosfera che quasi permette di “palpare” i ricordi che appartennero al vissuto dell’artista.
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