E’ sempre estremamente stimolante il rapporto che intercorre tra passato e contemporaneo, confronto di traditio e novitas. Senza intaccare il primato di una GAMeC particolarmente attenta alle nuove tendenze, questa volta vengono utilizzati spazi alternativi, che risultano ugualmente adatti allo scopo.
Lo schema dispositivo delle sale è ben conscio della struttura spaziale con la quale si relaziona. Diciassette stanze sono dislocate in due blocchi sulla navata, due occupano le cappelle laterali e l’ultima, unica ad abbandonare la pianta quadrata per scegliere quella ottagonale, si trova sull’abside.
Jannis Kounellis ci riserva un’accoglienza, per così dire “ambigua”. La parete della sua stanza –prima visione dopo l’ingresso– è preziosa, brillante, letteralmente composta da una texture di lucide pietre dure. Questi minerali grezzi però, oltre ad essere taglienti, sono privi di una stabile installazione, come del resto la baionetta che completa l’opera. L’impatto iniziale viene così sovvertito: lo spazio viene invaso da un’inquieta precarietà. Il dialogo con l’ambiente continua su diversi livelli d’intervento. Nunzio lo occupa con una base d’appoggio per le sue esili strutture di legno bruciato, racchiuse nell’essenzialità della loro forma. Gianfranco Pardi, in Topos, “disegna”, con il segno di due nastri di metallo dipinto, degli incroci di linee curve che si stagliano sul fondo bianco e rigorosamente geometrico. Lavora, invece, sul rapporto tra spettatore e spazio espositivo Arcangelo Sassolino. Costruisce, con il cemento, un calco del pavimento nella sua “opera-ambiente”, che rimanendo sospeso a mezz’aria, simula un ribassamento del soffitto.
Costringe in questo modo il visitatore ad attraversarla sotto lo schiacciante peso di più di mille chili. Sol LeWitt propone uno sfondamento dello spazio esistente che si apre, tramite la rappresentazione di un’infinita profondità, dentro le forme perfette di quadrato e cerchio.
Trovano nuovi contesti le “bacheche” refrigerate di Lawrence Carrol, scaldate dalla luce soffusa che riproduce quella del suo studio, ma anche la stella metallica di Gilberto Zorio, che fluttua in uno spazio cosmico, effetto della luce di wood sugli spruzzi di colore fluorescente. Si percepisce un’omogenea tendenza a ricreare, in luogo solitamente deputato al rito collettivo, dei momenti di riflessione individuale, intima, ma non solitaria. E’ il caso di Chiara Dynys, dell’infanzia alle prese con la rigorosa razionalità, di un bambino che tenta di risolvere il cubo di Rubrik immerso in un’incantata atemporalità. Meditazione celeste e celestiale quella delle parole al neon di Maurizio Nannucci; chiara, evanescente quella di line, breath, disappearing, video-installazione di Peter Welz. Questo canto corale, ricco di altre “voci illustri” tra le quali Paladino, Tirelli, Uncini e Wüthrich, si conclude nell’abside con l’opera di Roman Opalka. Un count-down matematico e cromatico di sette tele verso la purezza assoluta; sacri monoliti che contengono incomprensibili preghiere.
articoli correlati
Sol LeWitt in mostra a Roma
Personale di Jannis Kounellis
claudio musso
mostra visitata il 10 aprile 2005
Dalla prima tappa berlinese di The Clock di Christian Marclay alle installazioni immersive di Petrit Halilaj, passando per pittura contemporanea,…
Al MA*GA di Gallarate, fino al 12 aprile 2026, il racconto di come si irradia in Italia l’astratto a partire…
Dopo una lunga attesa, parte ufficialmente la direzione di Cristiana Perrella: oltre alla grande mostra UNAROMA, dedicata allo scambio intergenerazionale…
John Armleder gioca con l'eterna ambiguità tra opera e merce, per proporre una concezione allargata dell’arte. E la mostra al…
In un’epoca che sottrae presenza alle cose, il grande fotografo Martin Parr ha lasciato un’eredità che appartiene a tutti: la…
Fiere, aste, collezionisti, maxi aggiudicazioni. Un racconto per frame, per picchi, per schianti, più o meno approfonditi e intrecciati tra loro,…