Il lavoro di James White ci fornisce due importanti prospettive di lettura. La prima, storica, ci indica un determinato periodo della sua vita del quale vuole conservarne gelosamente il ricordo. Da questo “stato di conservazione” emergerebbe la seconda chiave di lettura, emozionale, che senza dubbio appare quella più interessante da un punto di vista critico.
Il “tempo” e i “sentimenti” sono dunque le linee guida che ben legano tutte le opere in mostra e che, sin da subito, creano un legame “affettivo” con lo spettatore. Questo si chiede cosa possa mai esistere di così rilevante dietro l’immagine di una lattina o di un paio di occhiali capendo, solo successivamente, che è proprio questo aspetto a risultare stimolante inizio per una maggiore comprensione.
Gli oggetti riprodotti, precedentemente immortalati con il mezzo fotografico, appartengono alla storia dell’artista; posseggono un’identità cronologica in grado di fornire un dato certo, impresso nella memoria temporale. Ad arricchire le informazioni forniteci a tal riguardo, si presume che questi siano appartenuti all’autore stesso; ciò determinerebbe il loro valore inestimabile, nonché una tendenza alla decontestualizzazione degli stessi rispetto al loro contesto originario.
A prima vista, gli oggetti rappresentati sembrerebbero in grado di farci valutare la vaga ipotesi di un citazionismo sfrontato. Probabilità a parte, destiniamo l’autenticità di tale processo a tempi in cui il servirsi di oggetti d’uso comune aveva ancora un valore effettivo. Ciò nonostante, non ci si può esimere nel ricorrere a questo genere di parallelismo, il quale potrebbe far storcere i pensieri dei tanti che si avvicinano all’opera di White per la prima volta e che, seppur lungi da giudizi superficiali, potrebbero finire col sentirsi condizionati.
L’inclinazione che contraddistingue l’opera di James White, rispetto a quella di altri artisti , è rivolta alla testimonianza, e non all’esaltazione, di preziosi cimeli che trasferiscono al visitatore la responsabilità, l’eredità di quel momento, candidamente immortalato con agghiacciate, quasi ossessiva, maestria.
Maniacale il suo modo di approcciare alle sue, oramai, nature morte; talmente metodico da creare un clima allo stesso tempo misterioso e straniante. Dietro opere come Pepsi/ Coke, Ketchup-Milk o Made in China si celano queste peculiarità, in grado di generare il giusto equilibrio tra curiosità e apprezzamento. La questione circa il medium adoperato diviene ricorrente e la scelta iperrealista può distrarre eccessivamente l’occhio meno allenato, facendo leva più sulla particolare abilità tecnica che sulla reale poetica che vi si cela.
Si tratta indubbiamente di opere concepite da un attento scrutatore, con forte tendenza archivistica, e capaci di riportarci alla memoria gli studi sulla società tedesca perseguiti dal fotografo August Sander tempi addietro. Entrambi indagatori, pongono su un piedistallo gli oggetti del loro interesse ma, se “il pioniere” ne fornisce una lettura fredda e distaccata, “il contemporaneo” non può prescindere da un’intima valenza emozionale.
martina colajanni
mostra visitata il 30 Marzo 2011
dal 30 marzo al 13 maggio 2011
James White
Galleria Project B, Milano
Via Borgonuovo 3/i, 20121 Milano
tel. +39 0286998751 | F. +39 0280581467
dal lunedì al venerdi 10.30-13.00 | 14.00-19.00 – sabato su appuntamento
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Meglio Barry White :)