Come si guarda un quadro? Cosa si cerca? Lo stile? La mano dell’Artista? L’invenzione personale?
Categorie romantiche e idealistiche mal si adattano a giudicare non solo le opere di bottega che siamo abituati a collocare nella società medievale, ma anche un gran numero di quadri che, ancora nel ‘700, erano il prodotto di idee e specializzazioni variamente combinate.
Officina veneziana. Un ottimo titolo che da solo orienta lo spettatore: non la ricerca spasmodica dell’unico autore ma la complessa ricostruzione delle trame.
Un esempio? Guardiamo quel capolavoro che, all’inizio del percorso, reca il curioso titolo di Tomba allegorica dell’Arcivescovo Tillotson.
Tra rovina e capriccio, la tela inaugura la serie dei Tombeaux des princese con una complessità che non avrà uguali nella stessa Venezia, materializza un’idea dell’arte e un giudizio sulla storia. Sembra uscita dalle pagine di Perec l’ossessiva codificazione dei temi e dei processi voluta dal duca di Richmond che intende, con una serie di 24 opere, celebrare i protagonisti della Rivoluzione del 1688, quella che aveva portato al trono d’Inghilterra Guglielmo d’Orange.
Ma cosa chiede inviando il suo impresario teatrale Owen McSwiny a Bologna e a Venezia? Chiede che ogni quadro nasca dalla collaborazione di tre artisti diversi, cui spetti l’esecuzione delle figure, del paesaggio e delle architetture. E devono essere i migliori a lavorare per questo che si può considerare il manifesto pittorico della cultura accademica. Eccoli: Giambattista Pittoniper la parte figurata, Antonio Canaletto per le architetture del sepolcro e le rovine,Giovan Battista Cimaroli per l’albero in primo piano e il paesaggio.
Da un modello di questo tipo parte la ricognizione delle modalità dell’attività artistica lagunare: la permeabilità alle situazioni, l’adattamento, la fame, l’ingegno, le convenzioni, le gerarchie, le specializzazioni.
Se la storia si dipana nei densi saggi del catalogo, in mostra si coagula intorno a 50 quadri che vanno dalle limpide visioni architettoniche create da Visentini e Zuccarelli per le sopraporte della casa del console inglese Joseph Smith alle oscure fantasie di Sebastiano e Marco Ricci nelle spettacolari invenzioni di rovine.
Una mostra da non perdere e un’occasione per passeggiare in uno dei punti più suggestivi della città, una piazzetta che dialoga con il giardino, a stento contenuto dell’iconostasi barocca del palazzo Terni Bondenti e gli spazi silenziosi dell’ex convento di Sant’Agostino mirabilmente affrescato, al suo interno, da Giovan Pietro da Cemmo.
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