Ammettiamolo pure, l’etichetta seduce. Perché dice qualcosa di noi (generalmente ci eleva ad interpreti, a coloro che hanno capito o che sanno riconoscere) e, in più, condensa contenuto, stile o tecnica di un’opera dentro un sentiero già tracciato, comprensibile. La mostra di Corrado Cagli (1910-1976), organizzata da un piccolo ma attivo centro espositivo, sembra fatta apposta per opporsi a tale mania classificatoria: le tele e le opere grafiche esposte rendono vacuo esercizio di retorica riconoscere scuole, riferimenti, citazioni. Perché il pittore romano, per sua natura, sfugge ad ogni facile definizione.
La vocazione di Cagli per l’arte si manifesta precocemente. Alcuni suoi disegni di animali vengono infatti presto pubblicati dal Corriere dei piccoli e, prima ancora di aver compiuto vent’anni, ha già svolto varie opere in palazzi della capitale. Ma la prima mostra è del 1932, quando espone in una galleria romana con Cavalli e Caporossi, nucleo storico della Scuola Romana. È di questo periodo Paestum, pastoso olio su tela in cui i tono caldi dei templi antichi vengono accostati al verde della vegetazione ed il grigio del selciato, imprigionando gli edifici in un’atmosfera di malinconico abbandono. E contemporaneo è Edipo a Tebe, in cui la sproporzione tra i soggetti e l’evidente compiacimento omoerotico, rende impotente il re patricida quasi schiacciandolo contro il muro.
Diventato amico di Arturo Martini, di Afro e Mirko Basaldella e ormai inserito nel mondo artistico, nel ’34 Cagli partecipa alla costruzione della fontana di Piazza Tacito a Terni, curandone la decorazione musiva con motivi tratti dai segni zodiacali. I cartoni dell’opera, andata distrutta, sono esposti in mostra, e ricordano molto l’arte primitiva nella raffigurazione degli animali. Ma è in Neofiti, Bacchino e Pescatore che il pittore manifesta uno stile personale, caratterizzato da un tonalismo caldo, evocativo ma allo stesso tempo languido e pensieroso.
Le leggi razziali (era ebreo) lo convinsero a emigrare prima a Parigi, dove tra l’altro frequenta Igor Straviskij, e poi negli Stati Uniti. Qui decide di arruolarsi e di combattere in Europa (“… non potevo immaginare me stesso alienato in California a dipingere”) ed è tra i primi ad entrare a Buchenwald.
Alla fine del conflitto può tornare in Italia ed ricomincia a dipingere inseguendo di volta in volta gli stimoli che gli vengono dal soggetto: si passa da Teatro tragico, maschere colorate di gusto metafisico, a La Chanson d’Outrée, surrealista, a Lanterna, decisamente cubista. Sensibile anche all’arte africana, all’astratto -come in Crociato e Tornasole, coppia di lavori realizzati su carta intelata- Cagli si dedica instancabilmente anche al disegno, dedicandosi a soggetti sacri e mitologia. Esprimendo, come ha scritto Aldo Palazzeschi, “… la malinconica precarietà e la fragilità della nostra vita contemporanea”.
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daniele capra
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