La serie di lavori presentati dall’artista italo-francese Pierre Poggi (Mont de Marsan, Francia, 1954) nello spazio lecchese di Federico Bianchi, racchiude un segreto. Nasconde un mistero che non si coglie a occhio nudo e di primo impatto, eppure è ciò che dà un senso e attribuisce fascino al progetto stesso. È il segreto del recupero. Della riabilitazione programmatica dell’anonimato, come spiegazione del sistema dell’arte. Fermandosi subito prima della polemica.
Il titolo stesso scelto per l’esposizione –Raccolta Differenziata– rimanda a questa scelta di Poggi, che ha innescato un procedimento di assemblaggio in cui lavori pittorici di artisti anonimi (e che, evidentemente, mai cesseranno di essere tali) trovati in centri di recupero e simili, entrano a far parte di una nuova opera. E, di conseguenza, hanno accesso ad una galleria dalla porta principale. Troviamo così ad una parete una serie di tele accostate come in un mosaico, in cui si alternano significativamente copie di capolavori, paesaggi e nature morte di qualità evidentemente scarsa con tele vergini che l’artista ha lasciato ancora impacchettate. A completare l’installazione, di un’amara e leggera ironia, un cordone utilizzato nei musei come distanziatore, a ricordare in tutto e per tutto l’istituzione espositiva per eccellenza. E ancora il richiamo ai principali musei nazionali si ritrova in un assemblaggio di tele vergini –di nuovo– alternate ai simboli delle varie istituzioni italiane. Ma la riabilitazione dell’arte dimenticata si ha anche nella ricostruzione ironica, come ironico è evidentemente il titolo dell’opera, della celeberrima Zattera della Medusa di Gericault: questa volta, la zattera è una piccola tela dipinta da chissà chi, per cui Poggi si è limitato a costruire una vela come si costruirebbe un giocattolo per un bambino. Perché, è importante sottolinearlo, l’intervento dell’artista su questa materia prima scelta dal dimenticatoio è quasi del tutto assente. Se di azione si può parlare, questa risiede esclusivamente nel suo gesto di composizione, di affiancamento, di assemblaggio.
Il resto –ossia, la pittura- è tutto di altri. Lo sono anche i dipinti ex-voto di soggetto religioso, ritagliati dall’artista in piccole forme ovali che ricordano le immaginette cristiane di tanti anni fa. Lo sono le tavole dipinte assemblate a fisarmonica sul pavimento, in un processo di collegamento e connessione tra soggetti senza nome. Lo sono i ritagli, le nature morte, i paesaggi. Che però acquistano una luce sinistra e un richiamo storico alla condanna dell’arte da parte del Nazismo, se li si segna con una svastica. E sono di altri, dell’incapacità di altri nel fare arte, anche i veri e propri scarti, i rifiuti che si raccolgono nell’ascensore della galleria con una paletta da spazzatura.
La raccolta differenziata consiglia di separare le tipologie di scarti per facilitarne lo smaltimento, e quindi ridurre l’effetto sull’ambiente. Pierre Poggi ha deciso di mettere mano in quei cassonetti dedicati espressamente all’arte, e di facilitarne lo smaltimento con un processo di digestione artistica. Che non li salva dall’anonimato, questo no. Ma, per una volta, li fa illudere di acquistare dignità.
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