La strada non è più il luogo privilegiato delle loro azioni. Per lunghi anni il popolo degli artisti di notte ha considerato la città una tela esclusiva, vergine e impersonale. Di qui la necessità di renderla viva con i colori sparati dalle bombolette spray. E non c’è mai nessuno che applaude, nessuna pacca sulle spalle, intervista o strette di mano. L’opera -chiamata senza alcuna vergogna murales– comincia a vivere quando la vernice è ancora fresca, la mattina dopo, sotto gli occhi incispìti di pendolari e mamme che accompagnano i figli a scuola. Opere come queste sono apprezzate per il loro suono -tra reggae e hip hop-, per il segno diventato cultura, per lo spirito musicale e modaiolo insieme che ha stimolato la creatività di una vasta schiera di writers, volgarmente e amorevolmente conosciuti come graffitari. Tra questi c’è chi va oltre. Come Abbominevole, al secolo Oliver D’Auria, classe 1979, di Legnano. Il contesto urbano è stato per lui il primo stimolo alla creatività. Niente graffiti, solo firme sui muri. Questa accadeva all’inizio. Poi è passato alle icone e ai santini, appiccicati alla meglio per le vie di Milano. Prima di lui ha cominciato Ozmo, pontederese di quattro anni più vecchio stabilitosi a Milano -anche lui- alla metà degli anni Novanta. Di lì in poi ha tappezzato gli angoli bui della città, i semafori i lampioni e le pensiline con immagini sacre. Reinterpretate in stile Ozmo, tecnicamente ben fatte e sorrette da spirito critico e dissacrante, le immaginine suscitano la reazione di preti e fedeli, che giudicano volgare “quest’uso pagano di icone”.
Le stesse che compaiono in alcuni frame dell’ultimo videoclip dei Casino Royale (da Milano Double Standard). Due giovani come tanti, loro. I tratti somatici fanno somigliare i loro volti, li rende simili. Nonostante la diversa interpretazione del segno pittorico e grafico, i loro interventi appaiono coerenti con la comune origine suburbana e lo spiccato gusto per un’arte viva e personale. In comune hanno inoltre l’emancipazione, che li ha spinti a trasferire la street-art in galleria. Un fenomeno, questo, che si sta diffondendo grazie all’intraprendenza di galleristi coraggiosi come Enrico Astuni. Ha lanciato una sfida che è stata presto raccolta. E i risultati sono incoraggianti per chi vuole continuare a seguire il percorso appena avviato. Nella galleria di Piazza Duomo, la coppia di giovani artisti ha realizzato a quattro mani un intervento invasivo che esalta le loro doti estetiche e grafiche. I pannelli non imprigionano il segno e la creatività. Sono piuttosto l’epicentro di un’evoluzione vorticosa di incisioni pittoriche che riportano sui muri -e in ogni spazio- la ricchezza delle idee.
Quello di Ozmo e Abbominevole è un mondo immaginato, costruito sulle macerie dei ricordi di infanzia e di una giovinezza che resiste. E un’ipotesi di mondo che scuote il mondo. Più vicino al vero di quel che appare.
Un universo personale in bianco e nero -fumettistico ma dal gusto pop, iperrealista quand’è necessario- animato da volti più o meno noti che si danno battaglia in questa surreale proiezione onirica del nostro mondo. Dissacrante e arguto, il duo scherza coi santi e con i fanti. Ed ecco che tra Giordano Bruno e le sorelle Lecciso, dipinte sul piccolo sportello che nasconde il contatore dell’elettricità, si riconosce anche il volto del critico d’arte Luca Beatrice. Di tutto questo alla fine resteranno solo i pannelli. E il ricordo. La galleria sarà pitturata per lasciare spazio a un nuovo allestimento. Come accade a volte sui muri della stazione o della fermata del bus. Anzi, no. Resteranno anche le firme, gelosamente collocate dagli autori di fronte alla vetrina di ingresso: una piccola piramide nera e un Exogino fucsia. Cos’è? Chi è stato bambino negli anni Ottanta lo sa bene…
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www.galleriaastuni.com
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