Nuovo appuntamento a Taranto con Primo Scalo, rassegna curata da Antonella Marino per l’Arsenale Mediterraneo delle Arti Contemporanee. Ad esporre è Domenico Palma, giovane artista ostunese, che attraverso tre opere essenziali riempie gli spazi dell’ex-Convento di San Michele di un’atmosfera magica e intimistica, trasformandoli in luoghi di meditazione.
Il mare è il filo conduttore di questi lavori, che segnano una nuova fase nella ricerca dell’autore. Già con il video Sabbia e acqua di mare impastati per 24 ore da una betoniera, realizzato nel 2005 per Gemine Muse, e ripresentato per l’occasione a Taranto, si assiste ad una svolta nell’operare di Palma. Abbandona il sovraffollamento, il bombardamento mediatico, per andare verso una semplificazione delle forme, una spoliazione dal superfluo, per lasciare in evidenza solo pochi elementi e concentrare l’attenzione sul dettaglio e sul concetto che cela in sé.
Il video, originariamente proiettato in una chiesa bizantina, nasce come una riflessione sulla fede e sul senso della vita stessa. Nel buio di una spiaggia, il rumore ciclico del macinare costante della betoniera; le ore si rincorrono, le varie tonalità di luce modellano lo strumento e ne restituiscono un’ immagine diversa minuto dopo minuto fino a tornare nel buio. Un lavorio che non costruisce nulla. Un ossimoro per parlare del continuo indaffararsi umano, dell’ansia di produrre e del poco spazio lasciato a costruire lo spazio interiore.
Quadrati di mare (10 cmq) sono due disegni in punta d’argento su fondo di gesso acrilico, collocati su un tavolo specchiante. Come un nuovo Palomar, l’artista blocca un frammento, circoscrive una porzione, la osserva e ce la restituisce in una forma impalpabile. Tecnica antica che lascia segni quasi impercettibili, incisioni tenui e luminose, che necessitano di tempo perché si rivelino del tutto, un tempo lento e assorto. E perdendosi tra le linee ci si accorge, ad un tratto, di essere specchiati, di essere dentro il mare, dentro l’opera e l’opera stessa, e l’oggetto d’osservazione diventa il proprio intimo.
Infine Giraffe, una “scultura sonora”, la prima ad accogliere i visitatori. L’opera, site specific, inverte i campi sensoriali: i lunghi microfoni invece di essere strumenti verso cui indirizzare voci e suoni, diventano parlanti, e anche qui, con un capovolgimento di funzione, la loro voce non è amplificata ma sussurrata. A questi microfoni bisogna accostare l’orecchio e non la bocca; quello che raccontano ha a che fare con l’identità della città. Un’identità troppo spesso dimenticata e data per scontata. Ancora il mare. Un mare così presente a Taranto, eppure solo uno sfondo nella vita di tutti i giorni. Una presenza marginale e senza più il suo suono. Qui, invece, la voce del mare, senza più i rumori della vita urbana, è protagonista e chiede attenzione. Attraverso l’udito ci si riappropria anche della vista.
Un intervento, quello di Palma, di grande raffinatezza. In punta di piedi, con tocchi leggeri invita all’osservazione meditata, all’interiorizzazione e alla sedimentazione nell’anima.
maria grazia taddeo
mostra visitata il 5 gennaio 2007
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mostra molto bella e di grande pulizia
ei, bell'articolo!
la mostra era un pò gnè gnè, però ci stava.
cosa vuol dire quando una mostra è un pò gnegne?
nell'arte non dovrebbero essere le "parole critiche" a spiegare il significato del messaggio; essenziali, concettuali, raffinati è una cosa... questa mostra era davvero tutt'altro, ma Ça va sans dire.... ci accontentiamo e guardiamo altrove....
il primo gnè stava per "scontata", il secondo per "banale".
per altro la dottoressa Marino durante la presentazione della mostra doveva risparmiarsi di esporre il progetto originale dell'artista poichè era molto più figo di quello che "gli ha fatto presentare".
credo che le opere presenti a taranto non parlano della puglia, di taranto e tantomeno dell'ombelico dell'artista ma di cose molto più condivisibili, di vita e di morte del farsi e disfarsi della carne e del pensiero e di come tutte le cose vanno a mare. perciò niente di banale e di scontato.
"vita" e "morte", farsi e disfarsi della carne sono ahimè concetti banali ormai nell'arte contemporanea.
peraltro questa è una tua interpretazione, ma non credo proprio che l'artista si sia basato sui quei concetti per le sue opere!
devi stare più attento quando la marino parla eh!