Jean Cocteau (Parigi 1889 – Milly La Foret 1963) e Luigi Magnani. Due personalità opposte ma con molti aspetti in comune. L’uno, prince frivole mondano e figura poliedrica vissuta a cavallo tra la Belle Epoque e le Avanguardie, amante della musica di Satie, amico dei maggiori esponenti della Parigi di Montparnasse –Apollinaire, Picasso, Modigliani– icona del Novecento ritratta da Man Ray, Lucien Clergue e Andy Warhol. L’altro, collezionista acuto e musicologo attento.
In occasione della riapertura della stagione espositiva, la Fondazione Magnani Rocca omaggia il poeta, critico e drammaturgo francese e le sue amicizie artistiche in Italia -in primis quella con i due “dioscuri” Savinio e de Chirico, ma anche con Clerici, Casorati e Soffici– costruendo un percorso filologico e poetico attraverso i suoi scritti, che fungono da accompagnamento critico alle opere della collezione di Luigi Magnani. Merito del taglio espositivo inedito e raffinato -non certo d’intento nazionalpopolare- e del titolo enigmatico, che ne tradisce il senso e che propone, attraverso un iter ideale, le diverse sfaccettature di un eterno dilettante -per scelta e non per destino- e dei suoi rapporti con l’Italia culturale.
Tre le sue diverse facce, tre le differenti dimensioni, difficilmente scindibili l’una dall’altra. Quella di poeta, perché lo è innegabilmente; di testimone, perché attraversa tutto il secolo da osservatore protagonista, e infine di impostore, perché l’impostura diventa per lui un modus vivendi, tra l’essere e l’apparire della finzione scenica.
Il viaggio ha inizio con la prima sezione, Odisseo o del tempo e dello spazio come testimonianza, dove i commenti frammentati ed indiretti di un Cocteau critico d’arte e sputasentenze, affiancano le opere della collezione come didascalie immaginarie, proponendo un’inedita chiave di lettura, un doppio viaggio (reale e fittizio) attraverso la storia dell’arte, dal ‘400 al ‘900.
Si prosegue nella Sala dei Moderni della Fondazione, immaginata come un ipotetico studio di Cocteau. Qui s’incontrano i disegni di De Pisis e le chicche bibliofile con dediche autografe di D’Annunzio, oltre a capolavori come il Ritratto della Ragazza rossa di Modigliani. Le opere esposte nella seconda sezione, Gli Argonauti o les compagnons de voyage italiens, testimoniano le
Disegni su carta tratti dall’album Gondole de morts, pubblicato nel 1959 per Scheiwiller, inni all’ambiguità di Venezia dal tratto picassiano, ritraggono con humour beffardo, tinto da una vena di malinconia, la varia umanità veneziana che passa il tempo tra il Lido e l’Harry’s Bar. Nell’ultima sezione, Orfeo o della poesia immanente, Cocteau viene infine paragonato ad Orfeo, il cantore. Un Cocteau genio stravagante, quello che risulta alla fine del percorso, un pifferaio magico dall’immaginario poetico e proteiforme, e come scrisse di lui Giuseppe Prezzolini negli anni Venti. “Il simbolo dell’impossibilità per l’arte moderna di tornare alla pienezza e sodezza antica. Il suo campo è nel dubbio, nell’ironia, nel tormento, nel frammento.”
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francesca baboni
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