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Fino al 3.IV.2016 | Joan Mirò a Villa Manin— Soli di notte | Villa Manin – Passariano di Codroipo

di - 2 Aprile 2016
Ultimi giorni per visitare “Joan Mirò a Villa Manin. Soli di notte”, a cura di Elvira Cámara López e Marco Minuz. Ad essere protagonisti, sono gli ultimi anni di vita dell’artista, quando, nel 1956, si trasferisce definitivamente a Palma de Maiorca, e successivamente nello studio costruito dall’amico Luigi Sert, denominato “la Cappella Sistina” di Mirò.
Uno spazio immenso, dove può liberamente sperimentare nuove tecniche, dedicarsi alla scultura e far predisporre un laboratorio per l’incisione. È un autore quasi inedito per la comune conoscenza, quello che emerge da queste sale. A dominare sono i colori primari e soprattutto il nero, ossessione che diventerà ancora più marcata dopo il viaggio in Giappone del 1966, dove rimarrà ammaliato dalla cultura zen, dal calligrafismo e dalla forza e sensorialità degli haiku. Inizia così ad utilizzare dei lunghi supporti in bambù e la sua pittura si trasforma in una sintesi perfetta di espressionismo astratto americano, fatto di azione, fisicità, impeto, e meditazione orientale, dedita al controllo del pensiero e del corpo. Dopo le prime scarne sperimentazioni, la tela inizia a riempirsi sempre più e le figure, di una mostruosa ironia, in bilico fra il fumetto e il cartoon, divengono al contempo polarizzazione di yin e yang.
Del resto tutta l’arte di Mirò è sempre stata costellata dai contrari, la scala in primis, il sole e la luna, che spesso ne hanno portato ad un’interpretazione simbolica, legata all’alchimia e alla psicanalisi. Per non dimenticare poi la presenza costante dell’occhio, elemento che lo aveva attratto sin da bambino, quando, su una parete, aveva notato un affresco romanico con un angelo ricoperto di occhi. Nonostante le tonalità catramose occupino gran parte di questa produzione, Mirò non rinuncerà mai alla ricerca di nuovi idiomi visivi. Anzi, quel “dictionnaire des signes miresques”, o meglio di “miroglifici”, così come definiti nel 1949 da Queneau, e poi ripresi più recentemente da Tiziana Migliore, si faranno sempre più fitti e diversificati, soprattutto nei fantasiosi e liberi disegni su carta o su cartone ondulato.
Quella di Villa Manin è comunque una mostra che vuole smentire le credenze di un Mirò istintivo, giocoso, infantile, sereno. Non a caso, sia il titolo, che la composizione musicale, realizzata per l’occasione da Teho Teardo, vogliono incentrarsi sul suo carattere introverso, dominato dalla “santa inquietudine”, dalla non accettazione del compromesso e dal silenzio. Into the black, registrato nello studio catalano, facendo suonare gli oggetti da lavoro, domina con tre grandi proiezioni il salone centrale diffondendosi fino ai piani alti. Le note sono brevi, malinconiche, ripetitive. Ridanno vita a ciò che era oramai fermo da trentatrè anni. Rimuovono il sedimento, rimettendo in circolo le energie depositate sulle tele e su tutti gli oggetti, le statuette, i frammenti di giornali, le cartoline, da lui raccolti e meticolosamente distribuiti su mensole o, come nel caso della mostra, all’interno di teche.

Mirò era un feticista dell’oggetto e un amante della musica. Collezionava qualunque cosa provenisse dal primitivo, inteso in ogni sua accezione. Amava le culture contadine. Contemplava l’ipotetica mobilità nell’immobilità dell’oggetto, investigandone al contempo silenzio e potenzialità, sentendosi così molto vicino sia alle ricerche di John Cage, conosciuto nel suo viaggio americano del ’47, che a quelle del dadaismo. Nel 1920, durante il suo primo arrivo Parigi, rimane folgorato, quasi scosso, dalle note autistiche de La nourrice américaine di Picabia. Dalla forza generatrice del caso, di quell’imprevisto che tanto lo affascinava, in quanto in grado di generare l’effetto sorpresa e, di conseguenza, l’energia. Al piano superiore si hanno i primi incontri con questi ‘scontri’: Orologio vento, Monumento eretto in pieno oceano alla gloria del vento, L’equilibrista, Progetto per un monumento, nonché le immancabili donne — presenti anche in moltissime altre opere esposte — che lui definiva “universi” e che erano un’altra fedele presenza del suo mondo fatto di segni. La femme è sempre rappresentata come essere che genera e si rigenera. Maternità o Donna e Uccello, dove il volatile, divenuto già per Ernst suo alter ego, è qui elemento simbolico di sfida, di rigenerazione, di bellezza e fluidità. Grazie soprattutto a questo binomio, Mirò crea costantemente una connessione fra i poli donna-madre-terra, ovvero Grande Madre. Emblematica, a questo proposito, è la figura del tacchino che, capovolto, diventa Testa di donna. La scultura era nei suoi pensieri già dagli anni Venti, ma inizia a dedicarvisi solo a partire dagli anni Settanta, realizzando, in totale, una ventina di pezzi che uniscono la destrutturazione dada, la costruzione sognante del Surrealismo e la creazione immediata di un bambino. A questo momento corrisponde anche una pittura ancor più antropomorfa e bestiale, fatta soprattutto di volti colorati e tribali e di tele bruciate che con i loro buchi ed ombre si proiettano nello spazio e in una tridimensionalità propria della scultura. Egli non rinuncerà alla matericità nemmeno nella produzione grafica. Grazie alla tecnica del “carborundum” è in grado infatti di donare alla stampa la stessa plasticità e forza della tela, aggiungendovi, oltre al collage, anche quell’imprevisto-effetto sorpresa che lui tanto amava. Nella serie El gossos, realizzata a partire dal 1978 con acquatinta allo zucchero e lasciata ad asciugare all’aperto, alcuni cani leccano le lastre e Mirò decide di lasciare questi segni come parte integrante del processo creativo, così come era accaduto con Duchamp nel Grande Vetro. Nella penombra dell’ultima sala, che incornicia due tele del 1974, ritroviamo Uccelli in un paesaggio, immagine simbolo che chiude una rassegna dal forte carattere evocativo, elegantemente allestita e in grado di sprigionare al contempo la grande energia primitiva dell’autore e la sua interiore e discreta, malinconia.
Eva Comuzzi
mostra visitata il 20 marzo
Dal 17 ottobre al 3 aprile 2016
JOAN MIRÓ A VILLA MANIN — SOLI DI NOTTE
Piazza Manin, 10, 33033 Passariano
Codroipo UD
Orari: da martedì a domenica 10:00 — 19:00
Info:info@villamanin.it www.villamanin.it

Nata nel 1977 è storica dell'arte e curatrice, collabora con MOROSO e ArtVerona. Lavora per diversi anni alla Galleria d'Arte Contemporanea di Monfalcone, specializzandosi nell'operato delle giovani generazioni. Al termine di questa esperienza, fonda NASAC (Nuova Accademia delle Arti Storico-Artistiche Contemporanee), progetto itinerante e trasversale che ha lo scopo, attraverso delle lezioni aperte a tutti, di far conoscere e divulgare le arti e la loro connessione con le altre discipline.

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