Pensate alle foto delle vacanze. Non le immagini delle vostre vacanze, ma quelle di una persona che non conoscete e avete incontrato casualmente. Pensate di sfogliarle per cinque minuti fino a percepirne la noia, la mancanza di spontaneità, il vuoto di ciò che non sembra appartenervi. E sentire lo scollamento tra le volontà di apparire del soggetto e la situazione in cui si trova. È proprio questa la sgomenta sensazione che suscitano gli scatti di Edward Rozzo, raccolti in un’esposizione con un titolo che ne svela l’intima essenza. Rozzo, italiano che si è formato negli Stati Uniti ma che da anni lavora ed insegna in diversi Paesi (qui in Italia a Brera e alla Bocconi), si occupa con metodicità a raccogliere i frammenti di una realtà sospesa, di uomini che occupano i propri spazi, le proprie case, i cortili, i parchi, o semplicemente la strada. Spazi che in realtà propri non sono, o lo sono alla pari di un fondale di teatro in cui si recita una commedia dell’assurdo. Nella serie Province Mentali le persone sembrano in preda all’ansia dell’attesa, tenuti in scacco da un’ invisibile spada di Damocle. In Bouncing ball un ragazzino gioca con una palla da tennis, seduto vicino ad un uomo che potrebbe essere il padre, ma anche un semplice sconosciuto con gli occhiali da sole. In Killing time due adolescenti lungo una strada sembrano trascorrere un pomeriggio senza scambiare parola, quasi fossero sul marciapiede con lo scooter per caso o semplicemente aspettando Godot. In Changing reality due uomini interagiscono tra loro (in un ambiente che ricorda vagamente una galleria d’arte) ma solo guardando assieme il display di un cellulare.
E in Dj set i ragazzi sul palco di una periferia intuita e senza connotazioni sembrano quasi incuranti di avere degli spettatori, mentre danno l’impressione di cadere in avanti, come suggerisce la mancata perpendicolarità della foto. Ma l’analisi antropologica sull’individuo si fa più spinta nella serie Donne stanche, la cui tristezza viscerale e dramma esistenziale sublima nell’afasia, e diventa esemplare di una condizione comune. E seguendo il pavimento rivestito da nylon grigio, che conferisce alla sede un’idea di meditata precarietà, arriviamo in una piccola stanza illuminata dai neon viola, quasi una grotta, un epilogo tragico. Sulla parete una foto in bianco nero divisa in due di una donna al parco con il proprio figlio, che –incapace di vivere l’attimo di gioia del presente– affoga nella mortifera melassa dei propri ricordi infantili.
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