Categorie: altrecittà

Soldi pubblici in cultura? No grazie!

di - 12 Novembre 2017
Non sempre la spesa pubblica (attraverso fondi, progetti e affini) può essere efficientemente allocata sulla cultura, anzi. A volte la previsione della categoria di investimento “in cultura” può forse essere dannosa. Prendiamo il caso del fondo dei comuni sotto i 5mila abitanti. Questi comuni, se rientrano in determinate altre condizioni, possono richiedere un finanziamento degli investimenti in differenti settori tra i quali, quello culturale. Ma è davvero una scelta ottimale?
Approfondendo il discorso, i criteri selettivi prevedono che concorrano i comuni che, oltre ad una cittadinanza inferiore ai 5mila residenti, presentino condizioni rivelazioni di un certo disagio economico, sociale e demografico (arretratezza economica, inadeguatezza dei servizi sociali, disagio insediativo, lontananza dai centri urbani, etc.).
Questi comuni potranno quindi avvalersi del fondo per finanziare investimenti, rispettivamente rivolti alla riqualificazione del territorio; messa in sicurezza delle infrastrutture stradali ed edifici pubblici; riqualificazione dell’efficienza energetica; acquisizione e riqualificazione di aree abbandonate; acquisizione di Case cantoniere; recupero e riqualificazione urbana dei centri storici; recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari; recupero dei pascoli montani.
Come appare chiaro, le possibilità di scelta sono molteplici e quindi saranno i singoli comuni a valutare le effettive esigenze del territorio, tuttavia, questa possibilità va letta in chiave un po’ più pragmatica e meno generica.
Pensiamo ad un comune con meno di 5mila abitanti e alle risorse economiche e competenze che un centro con così pochi abitanti può avere rispetto ad una grande città.
Ora, tra tutte le aree “prioritarie” per il fondo, la cultura non solo rappresenta forse la tematica meno complessa a livello progettuale, ma rappresenta sicuramente l’area la cui gestione finanziaria è meno onerosa.

Papigno, Terni, una delle aree per cui sono stati stanziati i Fondi Europei per la riqualificazione

Uno dei principali problemi del nostro Paese è infatti l’evidente incapacità di immaginare interventi di riqualificazione (urbana e territoriale) sostenibili nel medio periodo: le nostre città, i nostri paesi sono saturi di interventi realizzati attraverso il ricorso a fondi strutturali che sono stati poi lasciati vuoti o in abbandono perché non in grado di sostenersi economicamente.
La previsione della “Cultura” in questo senso, sembra proprio un salvagente al ribasso piuttosto che uno stimolo alla crescita delle competenze. Un sindaco, in altre parole, potrà decidere di “ripiegare” sugli interventi di tipo culturale per non onerare troppo il proprio paese negli anni successivi (anche se gli interventi più onerosi sarebbero in alcuni casi necessari).
E qui si apre un altro tema interessante: siamo davvero sicuri che i Comuni sotto i 5mila abitanti abbiano bisogno di investimenti in cultura? O forse, il “recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari” può passare attraverso altre forme di finanziamento?
I piccoli comuni, in Italia, non sono pochi. Secondo dati dell’Ancitel (la società di servizi per i Comuni dell’ANCI), rappresentano, al 1 gennaio 2017, circa il 70 per cento dei nostri 8mila comuni (con un totale di 5.567 comuni con meno di 5mila abitanti che ospitano poco più di 10 milioni di cittadini totali, pari a circa il 16 per cento della popolazione nazionale).
Le piccole realtà, i paesini, rappresentano dunque una caratteristica molto importante del nostro territorio. Questi, come tutti ormai sottolineano da tempo, fronteggiano però una serie di difficoltà, non da ultima quella del depauperamento demografico.
Nella concorrenza territoriale, essi presentano una serie di risorse in grado di attrarre potenzialmente nuovi cittadini, anche se i vincoli sono altrettanto numerosi e limitanti.

Santa Maria Capua Vetere, uno dei comuni beneficiari delle risorse destinate alla progettazione di opere finanziate con fondi europei

I piccoli comuni, insomma, dovrebbero iniziare a pensare ad interventi che permettano loro un posizionamento strategico. Una serie di interventi (internet e banda ultralarga, e-government, comunicazione e reti stradali, sistemi di trasporto pubblico, servizi sociali, percorsi naturalistici, etc.) che ne esaltino le caratteristiche di “vivibilità” con le quali “convincere” chi, stanco o non interessato alla vita dei grandi centri urbani, è alla ricerca di soluzioni alternative per migliorare la propria qualità della vita.
In questo percorso, probabilmente, la cultura non è la priorità. Ci saranno sicuramente interventi necessari, tesori impareggiabili che necessitano restauro e valorizzazione. Ma è ora di immaginare ad un intervento strategico di medio periodo, se non vogliamo che queste realtà spariscano.
Non sarà certo dunque la previsione dell’acquisizione delle case cantoniere, con cui lo Stato, in pratica, finanzia i comuni per l’acquisto di immobili di proprietà demaniale (se lo facesse un privato sarebbe riciclaggio di denaro), a risolvere il problema dell’eccessiva urbanizzazione che contraddistingue tutto il nostro pianeta.
Se ci sarà mai una possibilità per i piccoli comuni di concorrere sullo scenario territoriale e di restare vivi (e quindi mantenere nel tempo un numero di cittadini tale da motivarne l’esistenza) passerà sicuramente attraverso la comprensione dei propri fattori di forza, sarà la capacità dei territori di riuscire ad intercettare bisogni concreti e fornire ai potenziali cittadini delle soluzioni attraverso le quali quest’ultimi potranno condurre un’esistenza coerente con il nostro tempo.
Se lo scopo di questo finanziamento va in questa direzione, allora il lavoro che bisognava fare in fase di progettazione del fondo doveva essere fatto un po’ meglio. Se invece vogliamo soltanto “abbellire” i nostri piccoli paesi, così che se un turista, perdendosi con l’auto, si dovesse trovare a passare per uno di essi, se ne possa innamorare, allora il fondo è perfetto.
E pace per gli abitanti che invece sono costretti ad andare a vivere in città perché manca l’autobus per arrivare in tempo a lavoro, o internet, o entrambi.
Stefano Monti

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