Il primo risale al 1968 ed è opera di un gruppo teatrale milanese d’ispirazione anarchica, chiamato “Dioniso”. Come molti degli altri murales, dalle immagini semplici e immediatamente comprensibili, rappresenta un’Italia in cui la Sardegna non compare, sostituita da un punto interrogativo, al fianco di una giustizia con in testa un cilindro dai colori della bandiera americana, la cui bilancia pende smisuratamente da una parte, come simbolo eloquente di una terra che non conta nulla nel gioco della politica italiana ed è spesso succube delle mire imperialistiche statunitensi.
Ma non fu l’inizio vero e proprio dell’attività muralistica ad Orgosolo. E’ nel 1975, in occasione del trentennale della lotta partigiana contro il nazifascismo e della liberazione, che ad alcuni insegnanti ed alunni della scuola media locale, venne l’idea di mutare sostanzialmente la forma a volte ipocrita della celebrazione, fatta spesso di frasi ad effetto che si spengono nell’incomprensione e tra la freddezza di un pubblico distratto e demotivato, trasformandola in una forma espressiva e di comunicazione più coinvolgente e sentita dalla popolazione orgolese.
Quell’anno si trattò di manifestini illustrati dai ragazzi, accompagnati da slogan e didascalie, da affiggere a scuola e sui muri del paese, che oltre alle tematiche della resistenza, trattavano argomenti di carattere locale o eventi di risonanza internazionale, quale la guerra del Vietnam, giunta ormai al suo apice.
Dato l’immediato consenso riscontrato da parte della popolazione e l’evidente impossibilità di preservare il materiale prodotto dall’incuria del tempo e dagli agenti atmosferici, fu presa la decisione di agire direttamente sui muri di edifici pubblici o delle case di privati cittadini.
Coordinata dal professore d’educazione artistica Francesco Del Casino, senese dimorante ad Orgosolo da parecchi anni, l’attività muralistica prese il via l’anno successivo, arricchendo di volta in volta il paese d’immagini e di nuovi messaggi, spesso di vere e proprie denunce sui misfatti della politica italiana, sulle discriminazioni ai danni delle donne o delle minoranze etniche, sulle brutture della guerra, sullo sfruttamento di molte popolazioni del mondo, sulle carestie, contro le armi e naturalmente contro il Fascismo, a perenne memoria.
Nel corso del tempo altri artisti, quali Pasquale Buesca, Vincenzo Floris, Diego Asproni, Massimo Cantoni nonché turisti e giovani di passaggio, hanno dato il loro contributo, elevando a più di 150, il numero delle opere terminate.
Una forma d’espressione quindi, fortemente politicizzata e votata all’impegno sociale, che non ha corrispettivi se non in minima parte, sia nell’ambiente degli artisti ormai famosi e noti al grande pubblico che in quello degli artisti emergenti o dell’arte sotterranea, che muove i suoi passi nelle realtà periferiche e minori dei centri sociali, delle associazioni e degli spazi espositivi non-profit.
Viene da domandarsi i motivi di questa latitanza, di questo non coinvolgimento da parte degli artisti sul fronte dell’impegno sociale e della denuncia ed è quasi automatico individuarli nella forte mercificazione dell’arte, in atto ai giorni nostri e nella mutata situazione sociale dell’Italia e dell’Europa in generale, appiattite dall’opulenza ed incapaci di generare stimoli.
Non a caso, l’esperienza muralistica Orgolana, nasce in anni di forte contestazione e di rivolta sociale e andando a ritroso nel tempo, il più illustre e importante esempio d’impegno civile e denuncia nel campo dell’arte, è quel capolavoro immortale chiamato “GUERNICA” di Pablo Picasso, nato in un momento in cui, nel paese dell’artista e potenzialmente in tutto il resto del mondo, erano in pericolo diritti fondamentali, quali la libertà e la vita stessa delle persone.
I murales di Orgosolo, non sono dei capolavori d’arte come quelli che si possono ammirare nelle fredde e silenziose sale di grandi e piccoli musei sparsi per il mondo, ma valgono la pena di essere visti, sia per il messaggio di civiltà che esprimono che per il forte coinvolgimento emotivo che mettono in atto in chi li osserva. Gente comune o artisti che siano.
Bruno Panebarco
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