Sfacciatamente provocatorio, sovversivo ma con ironia, seducente e respingente insieme, eccessivo. Amabile e insopportabile. A modo suo, sempre. Senza mezze misure. L’eccentrico fotografo Jurgen Teller (Erlangen – Germania, 1964) si muove a briglia sciolta in un’intrigante zona di contaminazione tra arte e moda: campi limitrofi, certamente, ma che è difficile ibridare con intelligenza.
Teller, attuando raffinate tattiche di sovversione, gioca sull’inaspettato, rende intenso ciò che è consueto, lo spoglia o lo traveste, fino a farlo apparire conturbante, buffo, sgradevole a volte, oltraggioso magari, comunque diverso.
La differenza, ecco. E’ qui che Teller cerca la bellezza, nel tentativo di smontarne la versione ideale, mediatica, praticando l’artificio eppure mettendolo in discussione. Una bellezza non storpiata o offesa. Si tratta solo di spostare la mira, deviare la traiettoria, svelare livelli inattesi, pur restando in superficie.
Le super-modelle, dee artificiali di universi patinati e scintillanti, le butta giù dal loro piedistallo: il volto slavato, il trucco sfatto, abiti qualunque, un’inquadratura atipica, contesti anomali o fin troppo normali, atteggiamenti ironici o teneri… Lo status symbol diventa una cosa viva, oltrepassa quel limite che segna il percorso rettilineo lungo le precarie passerelle del successo: il fascino ingenuo di adolescenti belle e acerbe, in attesa dinanzi alla porta del suo studio londinese (nella serie Go-Sees) o il corpo candido di Susan, gettato in mezzo alle foglie e alla terra, come un cadavere tra i rifiuti. E ancora: una quasi irriconoscibile Kate Moss in stato di gravidanza avanzata; Bjork col suo bambino, immersa in un mare azzurrissimo; Stephany Seymour gambe all’aria o Kirsten mcMenamy nuda, ossuta, ingioiellata, sigaretta in bocca, aria di sfida, e un cuore dipinto sul petto con al centro la scritta Versace. E così nelle foto pubblicitarie sui fashion magazine di tendenza: l’oggetto scompare, inghiottito da contesti estranei, divenendo paradossalmente “dettaglio”. Tecnica atipica, ma decisamente acuta. Non è un caso che i suoi scatti siano amati e strapagati da marchi come Marc Jacobs, Puma ed Helmut Lang.
E poi c’è il Teller narciso, autobiografico, ossessivo protagonista dei suoi set. Nella serie Luigi XV, ambientata nelle camere sfarzose di un hotel parigino, il fotografo e la sua musa, la più anziana Charlotte Rampling, mettono in scena pièce bacchiche, erotiche e lascive, dal sapore edipico. Il tutto condito da un’abbondante dose di ironia. Infine, nel video World Cup Final, Germany v. Brazil, 0-2 la telecamera, per tutto il tempo del match, indugia sul suo viso, raccontandone smorfie, gesti, segnali di rabbia o approvazione: le tipiche espressioni del tifoso ipnotizzato davanti al monitor. Il risultato è caricaturale, teatrale, come se Teller recitasse il ruolo dell’uomo medio, o piuttosto di sé stesso, giocando a farsi il verso; la camera di tanto in tanto stacca sui dettagli –un piede, il divano, una mano- accentuando ulteriormente l’effetto di finzione. Teller campeggia nudo, in pose sfacciate e ironiche, in molte delle sue immagini, soggiacendo al bisogno di esporsi, di trasgredire con leggerezza. E –come regola- di non prendersi troppo sul serio.
helga marsala
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