Gli artisti sono sempre stati gli “hackers della realtà”, scrive il curatore Jerome Sans nel saggio critico che introduce la mostra. La capacità di reinventare il mondo, di fornire visioni alternative, di contaminare il reale con l’ironia e la surrealtà, sono in effetti elementi intrinseci all’attività artistica tout court. Esistono tuttavia alcune visioni che si caratterizzano per la loro virulenza, per il loro carico
Dopo il suo periodo d’oro, coinciso con gli anni Sessanta e Settanta, l’arte politicamente connotata è passata in secondo piano, vittima anch’essa del famoso “crollo delle ideologie” e del conseguente liberatorio disimpegno dei decenni successivi.
Oggi la quantità di artisti che si confrontano face to face con la realtà sociale e le sue contraddizioni sembra farsi più consistente, tendenza di cui abbiamo avuto una schiacciante testimonianza durante l’ultima Documenta , quasi pedante nel suo eccesso di (falsa) coscienza nei confronti delle problematiche mondiali.
La mostra Hardcore , che inaugura oggi al Palais de Tokyo di Parigi, riunisce quindici artisti
Una pratica molto comune, tanto da giustificare l’invenzione del termine corporate art, è quella di costituire delle vere e proprie “società”, con tanto di statuto, titoli azionari e responsabilità limitata. È il caso degli
Anche la messicana Minerva Cuevas ha fondato una corporation: la Mejor Vida Corp, il cui obiettivo non è naturalmente il profitto, ma la sovversione.
Dagli anni Ottanta tornano redivive le Guerrilla Girls, collettivo femminista di cui fanno attualmente parte tredici donne che nelle occasioni pubbliche indossano maschere da gorilla e si firmano con nomi di artiste del passato. Tra le nuove leve spicca il lavoro della coreana Shu Lea Chang -nota anche per aver ideato e coordinato il progetto web Kingdom of Piracy– i cui lavori parigini indagano senza pudori il tema dell’eros e della pornografia. Unico italiano in mostra l’ironico Gianni Motti, oltre al kossovaro (ma fiorentino di adozione) Sislej Xhafa. In mostra anche il sudafricano Kendell Geers con un progetto fatto di vari interventi (“come tante piccole bombe ”) sparsi per il museo; l’albanese Anri Sala che interviene con due lavori posti all’esterno e Alain Declerq con un enorme missile giocattolo. E ancora Jota Castro, Johan Grimonprez, Clarisse Hahn, Henrik Plenge Jakobsen, Anri Sala e Santiago Sierra.
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