Egon Schiele costituisce assieme a Oskar Kokoška e Gustav Klimt la famosa triade artistica che ha dato vita all’arte moderna in Austria. Attraverso i disegni e gli acquerelli Schiele persegue la sua ricerca del vero, sviluppando i leitmotiv della sua opera.
Ai 170 disegni che formano parte della collezione dell’Albertina, si aggiungono qui circa 80 prestiti provenienti da collezioni di tutto il mondo, per comporre un corpus esaustivo. Si tratta essenzialmente di autoritratti, nudi, ritratti e paesaggi che attraversano tutta la vita dell’artista, dagli inizi della carriera fino alla morte prematura, avvenuta nel 1918 quando Schiele aveva solo 28 anni.
Nato nel 1980 a Tulln, un paesino a circa trenta chilometri da Vienna, Schiele era il terzogenito di una famiglia composta da quattro figli, un padre capostazione e una madre figlia di un ingegnere delle ferrovie: non c’è da sorprendersi se i primi disegni di bambino raffigurano con estrema precisione treni e locomotive. Il padre a 52 anni iniziò ad accusare problemi di “confusione mentale” dovuti alla sifilide. La malattia peggiorò progressivamente, gettando la famiglia nella miseria. Egon resta orfano tre anni dopo, a soli quindici anni. Una tragedia, questa, che influenzerà profondamente la sua visione della vita, spesso segnata da note tragiche. Abbandonata l’Accademia delle Belle Arti perché ostile alla rigidità degli insegnamenti, apre un suo atelier dove si dedica a dipingere ritratti della facoltosa borghesia viennese. Dipinge anche molti nudi, tra cui ritratti di bambini, cosa che non lascia indifferente la popolazione di austriaci cattolici ben pensanti.
Si trova dunque accusato, nel 1912, di indecenza, sequestro e abuso di una minorenne (l’artista viveva con Valerie Neuzil, alias Wally, una ragazza di 17 anni), accusa da cui poi sarà scagionato una volta attestata la consensualità della ragazza. Ciononostante i lavori di Schiele disturbano, tanto che nel 1909 l’arciduca Francesco Ferdinando, uscendo da una mostra del Neukunstgruppe (Gruppo di Arte Nuova), capeggiato dall’artista allora ventenne, dichiara: “nessuno deve sapere che ho visto queste porcherie”.
Sono soprattutto i suoi nudi ad essere considerati scandalosi: Schiele abbandona lo stile modernista collaudato da Klimt, caratterizzato da elementi decorativi e vegetali, linee ondulate e preziosismi aurei, preferendo rappresentare corpi nudi con tratti nervosamente spigolosi. Il gusto estetizzante e raffinato dei modernisti lasciava il posto a un crudo realismo: le membra sono emaciate e scavate, la sessualità è presentata in modo esplicito, anche grazie alle chiare influenze delle teorie psicanalitiche di Freud.
Tra i disegni presenti in mostra la famosa Donna seduta con la gamba piegata del 1917, eseguita con gesso ed acquerello: avvolta da una squillante tunica verde, la protagonista si stringe attorno al suo ginocchio, poggiandovi delicatamente la guancia, mentre proietta uno sguardo intenso sullo spettatore. Molti gli autoritratti ad acquerello, opere da cui Schiele lascia trasparire l’angoscia del suo io, evidenziata dalle posizioni del corpo e delle mani. Ne è un brillante esempio l’Autoritratto con le dita allargate del 1914 in cui la fronte è aggrottata e la bocca si schiude in un’espressione corrucciata. La Femmina nuda del 1910 presenta invece una donna supina dalle forme abbozzate e angolose, il gesso bianco che tratteggia il contorno del corpo, conferendogli luce e restituendogli una solidità viva e dinamica.
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