È un’autentica nota di colore –e non si fa solo per dire– vedere all’inaugurazione di una grande mostra dedicata a Yves Klein non poche visitatrici vestite con abiti che nella loro tinta unita vogliono avvicinarsi a quel tipico IBK, l’International Blue Klein, brevettato dall’artista. Quel colore che nel mondo dell’arte incorpora tutta la pregnanza poetica del suo inventore. Ora, recuperato dalla storia dell’arte, questa tinta sembra conferire eleganza e compostezza a quelle anonime vestali dell’utopica Rivoluzione Blu. Viene da pensare che quelle emblematiche figure femminili si sentano un po’ vedove di Klein e che quel colore che portano indosso, mentre inneggia alla creatività dell’artista, alluda pure ad un sentimento di lutto. Yves Klein, nato a Nizza nel ‘28, morì a Parigi a soli trentaquattro anni. Era il 1962.
L’analogia di date, di vite spezzate e una certa assonanza nel modo di fare arte, non può che farci pensare a Piero Manzoni (1933-1963). Se però un confronto tra i due artisti è possibile sull’impianto creativo, l’intento sperimentale è notevolmente divergente. Nell’impiego dei colori, ad esempio, tanto spirituale è la ricerca monocromatica dell’uno, vale a dire Klein, quanto, con il suo bianco achrome, è tematicamente dissacrante la poetica dell’altro. Così come nell’utilizzo del corpo femminile come medium della rispettiva produzione, tanto l’uno vuol cogliere e trasferire nell’arte la purezza e l’essenza vitale, quanto l’altro vuol esibire l’ambiguità del potere demiurgico dell’artista. Appare quindi appropriatissimo nel catalogo della mostra l’innesto di un testo storico-critico di Marco Meneguzzo sul contatto avuto dall’artista francese con artisti delle avanguardie italiane, in particolare con Lucio Fontana (1899-1968) e Manzoni.
È ben noto che la forte personalità di Klein si situi al cent
È a partire dal ‘57 che Klein acquista un preciso dominio dei suoi mezzi espressivi. Come un alchimista, o come un filosofo presocratico, Klein orienta la sua ricerca concettuale sui principi e gli elementi originari del mondo. Nella purezza e brillantezza del blu IBK –blu come cielo e mare- l’artista vi situa l’estasi cromatica dello spirito invisibile che anima l’universo. Da qui i suoi quadri in monocromo di vario formato, fino ad incorporarvi delle spugne impregnate dello stesso intenso pigmento. Fino a costruire poi le celebri antropometrie mediante corpi femminili nudi e imbrattati, usati come pennelli su grandi tele: azioni ambientate in una sorta di cerimoniale che prevede un pubblico e un’orchestra che lui stesso dirige per una sinfonia da lui stesso composta. Poi, dalla unità cromatica ad una triade di colori: blu-oro-rosa. E dal colore all’immaterialità del vuoto.
Infine il fuoco. Da esso deriva un altro filone creativo sviluppato in differenti modi, tra pittura, scultura ed azione. Ad esempio, con un vero e proprio lanciafiamme alimentato a gas -e dunque dalla fiamma bluastra- riesce a sedimentare sulla tela, come fosse un sudario, tracce e sagome di corpi nudi. Corpi femminili, ça va sans dire.
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