Less oil more courage: una frase breve, nero su bianco, dipinta su una piccola tela. Con quest’oprera Rirkrit Tiravanija (Buenos Aires, 1961) partecipa alla Biennale di Venezia nel 2003. Il riferimento è alla guerra in Iraq: l’idea, essenziale ma provocatoria, che esistono altri modi per dimostrare il coraggio politico. Spostandosi su un secondo livello, il lavoro si collega all’originale pratica artistica di Tiravanija che, preferendo l’azione all’opera (il coraggio alla pittura), sceglie di stare in mezzo alla gente e di coinvolgerla nei suoi esperimenti relazionali.
L’artista diviene celebre negli anni ’90, indossando i panni del cuoco e preparando per il pubblico i suoi pasti a base di curry e cozze, come in un banchetto-party a ingresso libero. A Zurigo porta un supermercato perfettamente funzionante dentro il Migros Museum, mentre al Kolnischer Kunstverein costruisce una replica del suo appartamento di New York: aperto 24 ore su 24, il pubblico era libero di fermarsi lì per dormire, mangiare, chiacchierare…
L’arte intesa come forma ludica di ospitalità, con cui mettere le persone in comunicazione, tra loro e con l’artista stesso: nessuna distanza, nessuna riproposizione di ruoli e contesti canonici. Le sue installazioni funzionano come piattaforme per la discussione, spazi dove allestire scene di vita e interazione quotidiana. Il celebre connubio arte e vita, filo conduttore di tutto il ‘900, da Duchamp a Beuys, viene reinterpretato e ri-coniugato al presente.
A intrigare Tiravanija, però, è l’idea che il quotidiano, una volta entrato in contatto col mondo dell’arte, si animi e si metta in movimento da solo. Lui, l’orinatoio duchampiano, piuttosto che tenerlo su un piedistallo, lo avrebbe proprio usato. Quello performativo è un aspetto essenziale della sua ricerca. Differenziandosi dalla tradizionale figura del performer – concentrato su sé stesso – Tiravanija si rivolge invece al pubblico: le sue azioni-installazioni possono durare dei mesi, stanno in piedi da sole, indipendentemente dalla sua presenza.
Progettare una retrospettiva dedicata a Tiravanija non è cosa semplice né consueta: un lavoro talmente effimero, legato al luogo, al momento, all’azione, difficilmente potrà essere riprodotto.
La soluzione proposta dal Boijmans è coraggiosa. Vengono allestite sette strutture che replicano le gallerie e i musei in cui l’artista ha esposto tra l’89 e il ‘02. Il Kölnischer Kunstverein, per esempio (Tomorrow is another day, 1996), o il Wiener Secession (He promisedm 2002). Gli ambienti, però, sono completamente vuoti. Ogni ora partono i tour attraverso le stanze, con le guide che raccontano al pubblico quello che c’e (o ci sarebbe) da “vedere”. Tre diverse sceneggiature sono state scritte dallo stesso Tiravanija, da Bruce Sterling e da Philip Parreno. Le guide recitano ai visitatori il testo di Tiravanija, mentre quello di Sterling viene diffuso dagli altoparlanti dislocati nello spazio. Parreno ha invece creato un spirito recitante, un ‘sitcom-ghost’ che discetta sul mondo e sulla vita, mescolandosi con la voce dei attori nelle sale. Le architetture vuote – sagome di azioni consumate – sono così animate dalla parola, strumento effimero ed evocativo per eccellenza.
patricia pulles
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la mia esperienza ad un suo workshop è stata molto positiva, tipo molto loquace...