GNS, ovvero “Global Navigation System”, è il titolo dell’ultima collettiva curata da Nicolas Bourriaud negli spazi da archeologia industriale del Palais de Tokyo sito di creazione contemporanea che da qualche anno tenta una mappatura della frastagliata scena artistica attuale. E la metafora della carta geografica si addice a questa mostra, centrata sul rapporto che gli artisti tessono con i territori che attraversano, nel tentativo di configurare l’esperienza della realtà e di rappresentare le dinamiche e le contraddizioni che sfuggono alla logica stereotipata e ‘temperata’ dei media, ai calcoli e alle misurazioni geografiche.
Questioni geo-politiche che comportano un’esplorazione critica delle frontiere delle nazioni, non abbattute dalla globalizzazione ma al contrario rinforzate dalla “cittadinanza” e dalla “nazionalità”, difese con la legge e protette con le armi. Confini valicabili solo a seguito di una lunga trafila burocratica, secondo il cittadino francese Matthieu Laurette che, in due bacheche, espone le carte intestate delle ambasciate di paesi esotici che elencano la documentazione necessaria all’espatrio. Confini di stati abbarbicati al loro territorio che Kirsten Pieroth tratta – con straordinaria semplicità
Attraverso un percorso che comprende fra gli altri Franz Ackermann, Dominique Gonzalez-Foerster, gli italiani Stalker, una consistente presenza nord-europea e un gruppo eterogeneo residente a Berlino (punto nevralgico nel traffico di idee ed energie), la sfida generale appare chiara. Contemperare la militanza, la ricerca intransigente e radicale, con quella che – rubando un’espressione utilizzata da Bonami nell’ultima biennale – potremmo chiamare la “dittatura dello spettatore”, nello specifico il consenso del pubblico più giovane poco aduso non solo alla storia dell’arte ma persino al linguaggio più contemporaneo visibile nell’adiacente Musée d’Art moderne.
E mentre la sopravvalutata Hardcore, che ambiva a testimoniare il nuovo attivismo nell’arte (chiamato, con un orrendo neologismo secondo soltanto a “glocal”, artivism), appariva troppo compiaciuta, ammiccante e frivola, GNS riesce al contrario a mantenere un equilibrio fra esigenza spettacolare e riflessione. Complice anche la sensazione che gran parte degli artisti in mostra siano figli, per quanto inconsapevoli, di Alighiero Boetti, le cui cartografie orientano tuttora il sistema di navigazione globale.
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riccardo venturi
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