Peter Phillips, tra i fondatori della Pop Art britannica, è morto il 23 giugno, all’età di 86 anni. A darne notizia è stata la famiglia, attraverso una dichiarazione pubblicata online. Nato a Birmingham nel 1939, Phillips ha attraversato da protagonista uno dei momenti più importanti dell’arte del secondo Novecento e ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire i termini del linguaggio pittorico, analizzando in maniera critica i dettami del consumismo e ribaltando l’aggressività dell’iconografia commerciale e popolare in composizioni multimateriali e collage, approdando anche alla scultura e all’architettura.
Nacque nel 1939 a Birmingham, in Inghilterra e dal 1953 al 1955 studiò alla Moseley Road Secondary School of Art di Birmingham, per passare, dal 1955 al 1959, alla Birmingham School of Art. Nel 1959 visitò Parigi e iniziò a esporre alle RBA Galleries di Londra. Formatosi al Royal College of Art di Londra, dove condivise le aule con David Hockney, Allen Jones e R.B. Kitaj, Peter Phillips fu parte attiva della scena culturale che, tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60, diede vita alla Pop Art in Inghilterra, in parallelo e spesso in dialogo con quanto accadeva oltreoceano.
A differenza dei toni più ambigui di certa arte statunitense, l’approccio di Phillips era esplicitamente ironico: nelle sue opere, immagini tratte da riviste e pubblicità si sovrapponevano in una giustapposizione cromatica di grande impatto. Un’opera emblematica di questa visione è For Men Only – Starring MM and BB (1961), in cui Marilyn Monroe e Brigitte Bardot fanno capolino tra modelle in lingerie, simboli astratti e un coniglio che salta sulla tela, in un’irriverente messa in scena del desiderio maschile e del potere seduttivo delle icone mediatiche.
Phillips raggiunse presto una dimensione internazionale: nel 1963 partecipò alla Biennale di Parigi e, l’anno seguente, prese parte alla mostra Nieuwe Realisten al Gemeentemuseum dell’Aia, poi esposta anche a Vienna e Berlino. Grazie a una borsa di studio Harkness, si trasferì a New York nel 1964, dove visse per due anni e fu accolto nel panorama pop americano, esponendo accanto a Andy Warhol, Roy Lichtenstein e James Rosenquist.
Nel 1970, Peter Phillips sposò Claude Marion Xylander e i due viaggiarono frequentemente in Africa, Estremo Oriente e Stati Uniti. Per tutti gli anni Settanta, i Phillips vissero a Zurigo, in Svizzera. Negli anni ’70 gli furono dedicate mostre al Westfälischer Kunstverein di Münster e alla Tate Gallery di Londra. Nel 1977 fu protagonista di una retrospettiva a Milano e in quella occasione fu pubblicato un catalogo monografico a cura di Enrico Crispolti.
Negli anni successivi, il suo lavoro fu oggetto di numerose mostre e documentari, tra cui una nel 2004 alla Galleria Civica di Modena: «La prima sezione della mostra –divisa su due sedi espositive- presenta opere fra gli altri di Derek Boshier, Peter Phillips e del primo David Hockney che riassumono le caratteristiche della Pop inglese: una spiccata eleganza compositiva nonostante l’inserimento degli elementi dell’imagerie popolare, una studiata “artigianalità” tecnica (molto affascinante a livello visivo) e uno scarso uso delle tecniche di riproduzione seriale», scrivevamo in un nostro articolo pubblicato in quella occasione. L’esposizione raccoglieva 25 opere lungo l’arco della sua carriera, tra cui anche War/Game (1961), dipinto che ispirò anche la copertina di Room on Fire (2003), secondo album della rock band The Strokes. Nel 2009, in vista dei Mondiali di calcio del 2010 in Sudafrica, gli fu commissionato un dipinto che celebrava l’evento attraverso una serie di astrazioni colorate ispirate ai palloni da calcio.
Nel 2015 si era trasferito in Australia, dove aveva fondato uno studio e una galleria nell’entroterra di Noosa. È lì che ha trascorso gli ultimi anni, tra pittura e archiviazione del proprio percorso artistico.
Oggi, la famiglia di Phillips ha lanciato una raccolta fondi per costituire la Peter Phillips Foundation, con l’obiettivo di sostenere giovani artisti tramite borse di studio e programmi di residenza. Un modo per proseguire il suo lascito, fedele a quello spirito di curiosità visiva che trasformò immagini quotidiane in arte.
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