Enrico Vezzi "L'ordine immaginario", 2022 courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio foto di Leonardo Morfini
Come lo scorrere dell’acqua ha un andamento irregolare, a volte vorticoso e arzigogolato, altre lento e tranquillo, allo stesso modo il flusso dei pensieri, o dei ricordi, o dei fatti, ha uno svolgimento e un’estensione che seguono coordinate tutt’altro che regolari. Ed è a questo fluire, individuale e intimo, che Enrico Vezzi ha dato consistenza e forma. L’ordine immaginario, così il titolo del lavoro allestito nello SPE – Spazio Performatico ed Espositivo de Lo Scompiglio curato da Angel Moya Garcia, visitabile fino al 26 febbraio 2023, è la grande installazione site specific che si snoda per tutta la grande sala espositiva dello spazio vornese.
Nato a San Miniato (1979), da sempre Vezzi ha focalizzato la sua ricerca sul rapporto tra la realtà e le cose, sulle relazioni e le connessioni tra gli individui e l’ambiente, la convivenza tra le specie e il relativo ambiente. Già presentata negli spazi di La Portineria di Firenze, si arricchisce qui, come pratica dell’artista stesso di riprendere e rimaneggiare suoi lavori, di ulteriori dettagli, richiami, soluzioni.
Siccome la Grande Storia ha uno sviluppo che supera grandemente la visione omnicomprensiva dell’individuo, ognuno ha una singola Piccola Storia, intima e personale, archiviata nella propria mente, utile per il discernimento del mondo contiguo e prossimo. Una Piccola Storia composta da personalissimi elementi e altrettante personali visioni, costruita con principi del tutto individuali, atta a organizzare la percezione, l’intellegibilità e le risposte/effetti di quanto è intorno. Ovviamente, è un “ordine immaginario”, che non trova corrispondenze, fisse e puntuali, con l’ordine universale, se non per la presenza di alcuni eventi, fatti, che hanno passato, in modo diverso, ogni individuo.
Tuttavia, negli incroci e attraversamenti, possono verificarsi dei contatti, delle vicinanze, e in questo modo diventa un sentire collettivo o, comunque, di un determinato gruppo di persone. Pertanto, è questa totale individualità che rende, in alcuni punti, difficoltoso seguire lo srotolarsi dei riferimenti, delle suggestioni, nonché delle cause, di certi passaggi e salti. Altrettanto chiaro è il fatto che, essendo una costruzione realizzata con l’accumulazione di esperienze che sfuggono da un rigido andamento cronologico e geografico, molte non sono immediatamente rintracciabili nel vissuto dell’osservatore, né riconducibili a proprie conoscenze.
La possibilità di percorrere la grande installazione offre, però, la possibilità di confrontarsi con l’universo dell’artista, dei suoi trascorsi, delle sue passioni come delle sue ossessioni. Perciò, l’intera installazione è costruita con l’assemblaggio, l’affiancamento, l’accumulazione di oggetti diversi tra loro, ma che hanno un particolare legame con l’artista: libri (di storia e di politica), riviste, piccole sculture, pietre, oggetti disparati, animali imbalsamati, che si snodano da un punto (visto come la sorgente) e si distendono su un piano costruito con pannelli di diversi colori, che concorrono ad aumentare la cromia, enfatizzati anche da una illuminazione radente che enfatizza ombre e riflessi luminosi.
E l’attraversamento da parte del pubblico diviene la ricerca di elementi riconoscibili e riconducibili alla propria vita. Allo stesso momento invita anche a riflettere sull’attuale corso preso dalla storia, da quanto finora inflitto all’ambiente e di quanto sia necessario ricucire certe relazioni, sociali quanto ecologiche.
Nella sala immediatamente sopra, è invece allestita l’installazione Danze vuote di Cecilia Bertoni. Una stanza in penombra dove il contatto diretto dei piedi col morbido del pavimento ricoperto di velluto, immediatamente invita il visitatore ad attivare i propri sensi, finalità del lavoro raggiunta attraverso ulteriori elementi, quale l’intimità dello spazio, la luce soffusa che, con studiati raggi, colpisce determinati dettagli di quattro pannelli sospesi che, visivamente, vogliono rendere omaggio a Samuel Beckett e alla sua parola letteraria, attraverso ricami e stoffe, che creano sulla superfici rilievi, increspature, giochi di luccichii, creando un’atmosfera incerta e indefinita.
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