Barbara Bloom, Tete a tete, 2023. Chair, cushion, framed prints. Courtesy the artist and Galleria Raffaella Cortese, Milan Albisola
Come si imprime un ricordo, una memoria del tempo passato? Dove è possibile fissare il confine tra reale e illusorio? In Galleria Raffaella Cortese, due mostre visitabili fino ad aprile 2025, dal carattere diacronico, si legano a storie passate, ad accordi del possibile e a fisicità spaziali.
Accord (Accordo) è il titolo della quarta mostra personale, in galleria, dell’artista americana Barbara Bloom che, indagando i meccanismi plastici della storia, combina eventi e cambiamenti, materiali visivi e impronte del tempo. La mostra, in scala di grigi, assume le sembianze di uno spazio polveroso, un museo-mausoleo del ricordo di eventi straordinari di una vita passata, sospesa nel tempo, dove anno dopo anno, strati su strati, la polvere giace su ogni cosa: personaggi straordinari si incontrano, mentre la polvere si deposita sulle genti e sui ricordi. Si accumula sulle opere, sull’urgenza dell’artista, sulle ombre proiettate su un piano bidimensionale. La mostra indaga i meccanismi della storia, i luoghi in cui si sono stipulati accordi, alleanze e tregue. Ripercorre i momenti delle firme, dei patti siglati e delle collaborazioni avviate. Racconta la ricerca dell’artista, il desiderio di rintracciare le tracce sepolte, gli attimi che hanno plasmato il presente e il tempo.
Delle ombre si proiettano e si fissano su un pavimento a scacchiera. Sono le impronte lasciate dal tempo che i partecipanti, delle negoziazioni per porre fine all’Apartheid in Sudafrica, hanno impresso su quel pavimento bianco e nero. Quattro sedie fuoriescono dall’opera di Carl Wilhelm Anton Seiler, Firma del trattato di pace a Parigi, e si posizionano nello spazio, trasportandolo al 30 novembre 1782.
L’intero percorso espositivo trae energia dalla storia e dalla memoria della stessa, partendo dal più antico trattato di pace documentato, siglato nel 1269 a.C. tra Egizi e Ittiti, passando al 1373, anno in cui fu stipulata l’alleanza che promise amicizia perpetua tra Inghilterra e Portogallo. Quest’alleanza è la più antica ancora attiva al mondo. Si passa poi al 1782, con la firma del trattato di pace che pose fine alla guerra di Indipendenza Americana tra Gran Bretagna e Stati Uniti. Segue il 1905, con il primo Congresso mondiale di Esperanto, per ricordare infine la Conferenza di pace del 1919, in cui furono definiti i termini della fine della Prima guerra mondiale. Il percorso si conclude con un ipotetico, assurdo e immaginario incontro: una partita di gioco tra Nefertiti, Émile Zola, Amy Winehouse e Gesù.
Accord (Accordo) percorre un’epoca storica complessa, un racconto sui tentativi di alleanze che oggi, forse, sono fin troppo spesso sottovalutati. È una mostra storica? No. È il museo privato, un po’ dimenticato, di una società che crede negli sforzi positivi del passato.
In contemporanea, Lines are telling stories, la quinta mostra in galleria dell’artista svizzera Silvia Bächli. Linee, colori e superfici raccontano altre memorie, non più quelle storiche, ma quelle personali, spontanee, dove le pennellate vivono il tremolio e il tentativo di fissare una gestualità intrinseca nell’atto stesso del dipingere. Le opere, simili a parole o note musicali, formano una composizione lenta e meditativa, un ambiente riflessivo che invita il visitatore non solo a seguire con lo sguardo la forza del colore, ma anche a soffermarsi e guardare oltre i vuoti, gli spazi bianchi che si autogenerano.
Se in Bloom i colori diventano polverosi, segni di un’impronta del passato e di una stratificazione di memorie storiche; in Bächli i colori tenui diventano occasioni per fissare il tempo, meditare e silenziare il ronzio del presente.
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