Photo montage by the project team, using image elements by Samuele Cherubini
Per la prima volta assegnato tramite concorso aperto, il Padiglione della Svizzera alla 61ma Biennale d’Arte di Venezia, che aprirà a maggio 2026, sarà affidato a un collettivo interdisciplinare composto da Gianmaria Andreetta, Luca Beeler, Nina Wakeford, Miriam Laura Leonardi, Lithic Alliance e Yul Tomatala. Selezionato tra 140 candidature pervenute e intitolato The Unfinished Business of Living Together, il progetto segna un punto di svolta nella partecipazione elvetica alla Biennale, introducendo un modello curatoriale basato su pratiche collaborative e transdisciplinari.
La 61ma Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia si terrà dal 9 maggio al 22 novembre 2026, sarà curata da Koyo Kouoh, curatrice camerunense-svizzera il cui lavoro è incentrato sulle narrazioni postcoloniali e sulla rilettura dei sistemi espositivi.
La Svizzera partecipa alla Biennale d’Arte dal 1920, ma solo nel secondo dopoguerra ha ottenuto un proprio padiglione dedicato, divenuto nel tempo un’importante piattaforma per la promozione dell’arte svizzera contemporanea. L’attuale padiglione ai Giardini risale al 1951, su progetto dell’architetto Bruno Giacometti, fratello dello scultore Alberto Giacometti. Negli anni, il Padiglione ha ospitato numerosi artisti di rilievo, come Thomas Hirschhorn nel 2011, il duo Pauline Boudry e Renate Lorenz nel 2019, e Guerreiro do Divino Amor nel 2024, solo per citare alcune tra le partecipazioni più recenti.
«Poter tenere apertamente dibattiti sociali attuali con mezzi artistici in un contesto internazionale fa parte delle eccellenti caratteristiche della Biennale d’arte di Venezia», ha dichiarato Philippe Bischof, direttore di Pro Helvetia, Fondazione che, dal 2012, è responsabile della gestione e dell’allestimento del Padiglione Svizzero alla manifestazione lagunare. Come sottolineato da Bischof, l’approccio del team si distinguerà per la volontà di mettere in discussione l’autorevolezza dell’archivio, invitando il pubblico a confrontarsi con il materiale storico in modo attivo, interrogandone le implicazioni e ridefinendo il proprio punto di vista.
Il team che svilupperà il progetto del Padiglione alla Biennale di Venezia 2026 si muove tra arte e ricerca, operando in Svizzera e in Europa con un’impronta multiculturale e multigenerazionale. Composto da figure provenienti dalle diverse aree linguistiche della Svizzera e con esperienze internazionali, il collettivo mira a costruire un Padiglione che non si limiti a esporre ma che funzioni come spazio di messa in discussione di temi di stretta attualità.
La giuria, formata da Federica Chiocchetti, Ann-Kathrin Eickhoff, Vittoria Matarrese, Domagoj Smoljo e Anahita Vessier, ha messo in evidenza come progetti artistici come The Unfinished Business of Living Together siano adatti per avviare un discorso sociale, partendo da una precisa impostazione artistica e curatoriale.
Ispirato a una trasmissione del 1978 di Telearena – programma della televisione svizzera in cui si discutevano in modo acceso questioni legate all’orientamento sessuale – The Unfinished Business of Living Together utilizza materiali d’archivio come dispositivo critico per indagare le condizioni della convivenza contemporanea. La ricerca del collettivo si concentra sui meccanismi di tolleranza, appartenenza e sulle persistenti forme di divisione sociale, proponendo un dialogo tra passato e presente per riflettere su identità e coesione sociale.
«Quello a cui aspiriamo è un Padiglione nel quale le visitatrici e i visitatori si chiedono: Quando e dove succede questo? L’archivio in questo caso ha autorevolezza? Le spettatrici e gli spettatori sceglieranno una posizione o magari cambieranno idea», così i curatori e gli artisti introducono il progetto, riflettendo sulla risonanza delle immagini d’archivio e sulle scelte interpretative del pubblico.
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