Enrico Robusti, Che grande cozzata, (da La Pittura Iperproteica)
Nella meravigliosa sede espositiva del Labirinto della Masone di Fontanellato, luogo che esprime al meglio la genialità dell’editore e collezionista, da poco scomparso, Franco Maria Ricci, è in corso la personale (l’accesso è oggi precluso in ragione dell’emergenza sanitaria) dedicata al pittore parmigiano Enrico Robusti. La pittura iperproteica è il titolo scelto dal curatore Camillo Langone che, con toni grotteschi, definisce la pittura di Robusti “un’abbuffata”. Infatti, il rilevante impatto visivo che le grandi tele e i soggetti raffigurati provocano all’osservatore, rimanda immediatamente alla commedia La grande Bouffe di Marco Ferreri. Come Ugo Tognazzi e Marcello Mastroianni – tra i protagonisti del capolavoro cinematografico – i personaggi delle opere di Enrico Robusti, sembrano volersi suicidare oppressi da colossali mangiate. I volti deformi in Maialata, in Che grande cozzata o in Zamponi e lenticchie per gente dalle zampine corte evidenziano una stupefacente ingordigia nei confronti del cibo, un’ingordigia che spiazza per la pungente ironia che in realtà è puro sarcasmo.
Come scrive Langone l’opera di Robusti «contiene un sapido filone di critica sociale che però è sempre anche un’autocritica: l’artista non si impanca, non moraleggia, non giudica la società dall’esterno ma ne svela le mostruosità dal di dentro, dalle viscere». È, quindi, evidente come l’artista parmigiano pone al centro della propria indagine l’uomo con le sue debolezze, le sue perversioni, la sua affascinante complessità. Lo raffigura deformato, sproporzionato e con una prospettiva che crea turbamento e smarrimento. Sono circa trenta le opere che si collocano lungo il percorso delle eleganti sale espositive e che sono raccolte attorno a tre nuclei tematici principali: il cibo, le coppie e il tempo libero. In questo modo Enrico Robusti realizza un ritratto grottesco del nostro mondo. Un ritratto dove realtà e oniricità convivono in una sorta di “commedia umana” che si pone come una gioiosa amplificazione e intensificazione della vita stessa. I personaggi dei dipinti non rispecchiano l’io inconscio del pittore parmigiano o il mondo esterno all’artista da riprodurre, bensì un giudizio morale sulla vita e sugli uomini. L’arte di Enrico Robusti è quindi una ineguagliabile fucina creativa dove l’umanità di oggi viene costruita attorno al dogma del consumismo.
Così, in Bar Italia non risalta certo la donna intenta a prendere l’aperitivo, ma risaltano in primo piano la borsetta e le borse dello shopping a dimostrare quanto nella nostra società sia importante il lusso e l’apparenza. Non mancano certo echi e riferimenti alla pittura espressionista, in particolar modo alla grammatica pittorica di James Ensor che utilizzava maschere carnevalesche per sottolineare il lato più brutale e deformato dell’umanità.
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