La storia della G7, e il confronto generazionale

di - 28 Dicembre 2021

La Galleria Studio G7 viene fondata da Ginevra Grigolo nel 1973; le prime mostre sono dedicate a Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio e Giulio Paolini. Negli anni Settanta si susseguono diverse rassegne sulla Pop Art americana ed inglese alternate ad un intenso interesse verso l’Arte Concettuale, la Fotografia, la Performance, e la Narrative Art. Studio G7 ha seguito nel tempo gli sviluppi del lavoro di alcuni artisti attivi con la pittura, quali Guerzoni, Della Volpe, Manai, Galliani, Baruchello, Gastini, Bartolini, Griffa, Dadamaino, Garutti, Ruggeri, D’Agostino, Tirelli. Dal 1976 al 1981 viene pubblicato il mensile di arte e cultura G7 Studio.
Negli anni Ottanta, la galleria ha dato ampio spazio ad artisti stranieri di fama internazionale tra come Anne et Patrick Poirier, Bill Beckley e Sol LeWitt. Poi si sviluppano i lavori sulla parete di David Tremlett, Flavio de Marco, Hidetoshi Nagasawa ed Ulrich Erben. Mentre negli anni Novanta altri nomi stranieri hanno fatto il loro ingresso Hernandez Pijuan, Chung Eun-Mo, Raimund Girke, Ulrich Erben, Thomas Deyle. Tra gli scultori: Penone, Uncini, Bernardoni, Nagasawa, Coletta, Habicher, Spagnulo, Icaro, Nunzio, Corneli, Carroli.
Nel nuovo millennio entrano artisti come Marco Bertozzi, Daniela Comani, Flavio de Marco, Gregorio Botta, Francesco Candeloro.
Da agosto 2019, l’attività prosegue sotto la direzione di Giulia Biafore.

Franco Guerzoni, Iconoclasta, 1980, serigrafia su lastra di gesso, cm 58x101x2. Courtesy l’Artista e Galleria Studio G7, Bologna. Foto Alessandro Fiamingo

La galleria G7 ospita ora in una mostra, a cura di Davide Ferri, due artisti di diverse generazioni Franco Guerzoni (Modena, 1948) e Lorenzo Modica (Roma, 1988) in un confronto dialettico che misura distanze e assonanze sul filo di un’interpretazione allargata della pittura. Il titolo della mostra “Nascosto in bella vista” tratto da un’opera di Modica fornisce una chiave di lettura particolarmente appropriata, che gioca sull’ambiguità e la proliferazione del segno in ciascuna opera. Il punto di partenza potrebbe essere Iconoclasta del 1980 di Guerzoni: una doppia lastra di gesso attraverso cui si intravvede un accenno di testina serigrafata, un’immagine dunque, ma che sta sull’orlo della distruzione e della sparizione. Un atto vandalico come incipit di una mostra è indicativo della storia dell’immagine, del suo potere e del relativo atto di una damnatio memoriae che ne sconfigge e ne fiacca per sempre l’esistenza. Quel che sopravvive allora lo fa in maniera incerta, tremebonda e frammentaria. Dopo, almeno in mostra, le immagini di Guerzoni si danno solo per evocazione, memoria e nostalgia.

Franco Guerzoni, Intravedere, 2021, pigmenti e scagliola su scatola di gesso, cm 26x18x6, Courtesy l’Artista e Galleria Studio G7, Bologna. Foto Alessandro Fiamingo

Intravedere, 2021, è una sorta di stretta “stanza” da cui, a tratti, all’interno e all’esterno, vengono a galla, nel biancore del gesso, macchie incerte e impastate di colore rosso e azzurro, che evocano cromie antiche, decorazioni classiche o rococò. Il riferimento all’architettura è d’obbligo nell’artista, che per decenni opera sul correlativo oggettivo della parete, del muro, lasciando evidenti gli strati di gesso, sbocconcellati, erosi, a formare palinsesti che ricordano affreschi medievali come quello famoso di Santa Maria Antiqua nominato nel testo di presentazione della mostra milanese dalla curatrice Martina Corgnati (Franco Guerzoni, L’immagine sottratta, 2020). Da antiche pareti che si stratificano nel tempo non può emergere che una traccia larvale, una pura ipotesi lontana di figurazione. Una figurazione che risale alle origini dei tempi, quando l’arte non esisteva ancora, ma l’immagine invece si, come nelle grotte richiamate dalla sua terza opera presente in mostra: Rêve Néolithique, 2021, un’opera che sembra fiorire a partire da due lastre di gesso, rese brillanti dalla polvere di scagliola, dalle quali si dipartono le carte lavorate con pigmenti, grafite e cera: lavoro preziosissimo che richiama sempre l’idea di palinsesto, di composizione dinamica, ma bilanciata.

Lorenzo Modica, LA CHACHA, 2021, olio, spray e fotocopia su tessuto stampato, cm 140×100 Courtesy l’Artista e Galleria Studio G7, Bologna. Foto Alessandro Fiamingo

Fanno da contraltare le opere di Modica, dove i rimandi alla figurazione si moltiplicano nella proliferazione delle soluzioni tecniche utilizzate: fotocopie, china, fotografia a colori, pittura lavabile a spray su diversi tipi di supporti: carta copiativa gialla, carta carbone, carta da lucido, stampa digitale, etichette, nastro adesivo… Si tratta anche qui di un palinsesto, ma complesso, frammentario, proliferante nell’opera Untitled (vetrina), 2021 dove tutto viene attaccato al plexiglass appoggiato alla parete. Se con Guerzoni primeggia la materia, la sua evidenza e tattilità, in Modica le immagini sono disposte su superfici bidimensionali, atte al trasporto e alla circolazione, danno un’impressione di dinamicità e fluidità e si rifanno all’idea della riproduzione e della copia. In La Chacha, 2021, Modica utilizza ancora diverse tecniche: olio, spray, fotocopia su tessuto stampato, si tratta di un supporto ordinario e bidimensionale su cui intervengono diversi gesti dell’artista, che ama la frammentazione di un lavoro composito. Modica infine con il lavoro Untitled (naso), 2021, monotipo su carta, inchiostro su carta intelata, collage, gioca ancora – da virtuoso – con diverse tecniche e proposte d’immagine, che si danno nella loro proliferazione infinita.

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