L’Arlecchino cubo-futurista di Gino Severini, al Teatro Rendano di Cosenza

di - 2 Gennaio 2023

Il Sindaco Franz Caruso ha inaugurato, il primo gennaio 2023, alle ore 20, la scultura Arlecchino di Gino Severini (Cortona, 1883 – Parigi, 1966), collocandola nell’atrio del Teatro Rendano di Cosenza. L’opera, donata dal mecenate Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona e dalla figlia del Maestro, Romana Severini, vede la sua esposizione in occasione del Concerto di Capodanno dell’Orchestra Sinfonica Brutia, che ha intonato con ben 66 elementi lo spirito dell’anno nuovo.

«Sono lieta dell’arrivo a Cosenza di una ceramica di mio padre, eseguita negli Anni Cinquanta, con il tema dell’Arlecchino che lo ha accompagnato lungo tutto il suo percorso artistico, tant’è che il suo ultimo quadro non terminato, s’intitola L’ultimo Arlecchino», spiega la figlia dell’autore Romana Severini.

L’installazione della scultura in terracotta policroma, che vede la sua ossatura in alcuni disegni di Severini, è curata, per la prima volta in uno spazio interno, dall’imprenditore Sergio Mazzuca dell’azienda Scintille Montesanto, insieme a DonnaOro. «Con tale collocazione, seguiteremo a portare avanti il progetto di un ulteriore arricchimento del MAB (Musei Archivi Biblioteche)», spiega il Sindaco. «L’auspicio è che anche altre opere vengano al più presto esposte», a favore di un processo di crescente valorizzazione e promozione insieme all’Assessore all’Urbanistica Pina Incarnato. «Prendersi cura della prestigiosissima collezione d’interesse storico-artistico di cui si compone il MAB, e implementarla, è un imperativo categorico per la nostra azione amministrativa, proprio perché rappresenta un unicum nel panorama nazionale per l’elevata concentrazione di opere che appartengono alle diverse correnti d’arte contemporanea che hanno percorso il XX secolo e che ne hanno fatto la storia», prosegue Incarnato.

Il punto di partenza che vede il primo incontro tra Severini e i personaggi della Commedia dell’Arte Cinquecentesca si origina dalla commissione del 1921, da parte della famiglia inglese Sitwell al Castello di Montegufoni, nel cuore della Toscana. La commissione, immaginata prima per Pablo Picasso (Málaga, 1881 – Mougins, 1973) e affidata poi a Gino Severini, come spiega la figlia in una nostra conversazione, prevede l’affresco di uno dei saloni della dimora, oggi chiamata “La Sala delle Maschere”.

Entusiasta verso un soggetto che, sin dall’infanzia, avverte affine nella sua tragicità e giocosità (come testimoniato dal catalogo ragionato di Daniela Fonti), Severini manifesta l’approdo artistico che va raggiungendo, tra invenzione e realtà, umano e astratto, Cubismo e Classicismo. Su tale affresco due volte compare la figura dell’Arlecchino, tra le maschere più caratteristiche e enigmatiche della Commedia, nel suo dualismo astuto e intrigante, insolente e incalzante, seduta al tavolo del giardino mentre versa del vino rosso.

Negli Anni Cinquanta la maschera bergamasca ricorre ancora una volta all’interno della produzione di Severini, attraverso una ricca serie di disegni. Si tratta di studi sul colore e sulla scomposizione, realizzati nel contesto della scuola di mosaico e ceramica che l’artista dirige a Parigi fino alla metà del decennio. Numerosi sono i maestri da Ravenna e Faenza ad accompagnare la raffinata docenza, tra i quali la spiccata figura di Gio Colucci (Firenze, 1892 – Parigi, 1974). Nel 1955 quest’ultimo collabora insieme a Severini all’interpretazione scultorea delle figurazioni cartacee di cui sopra, da cui è ricavata la terracotta esposta oggi al Teatro Rendano di Cosenza.

A metà tra futurismo e cubismo, L’arlecchino svela la frammentazione del costume che lo abita e la provenienza antica della natura ludica dell’artista. I piani sono sfaccettati, le losanghe spigolose, i colori primari e secondari alternati. La forma che magicamente ne fuoriesce, tende alla modifica continua dei solidi che la compongono, per una vibrante astrazione che si sviluppa in altezza e che trattiene le nuove modalità percettive raggiunte in quegli anni da Severini.

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