Mantova, culla del Rinascimento e della Light Art

di - 18 Ottobre 2020

Nel 1460 Andrea Mantegna, protagonista dell’Umanesimo lascia Padova e si trasferisce a Mantova, dove per la famiglia Gonzaga dipinge tra i suoi capolavori, come la Morte della Vergine (1461) e la Camera degli Sposi (1466-1474) a Palazzo Ducale, chiamata nelle cronache antiche Camera Picta. La Biennale Light Art 2020, dall’emblematico titolo “Elogio della luce tra destrutturazione e ricostruzione degli spazi”, a cura generale di Vittorio Erlindo (fino al 31 dicembre-ingresso libero), ospitata negli interni e nel cortile nella dimora mantovana del genio del Quattrocento, propone una riflessione sul dialogo tra luce, storia, memoria, identità e architettura.

Giulio De Mitri, Ogni anima è uno specchio vivente dell’Universo

L’edizione di quest’anno, realizzata con il sostegno di Eni, Main Partner dell’evento, Provincia e Comune di Mantova, è più ambiziosa e internazionale delle precedent biennali, comprensiva di opere di 34 artisti italiani e stranieri invitati a confrontarsi con elementi culturali, architettonici e urbanistici della città, culla del Rinascimento rappresentati dalla casa di Mantegna e il vicino Tempio di San Sebastiano di Leon Battista Alberti (1404-1472), architetto poliedrico e intellettuale, autore di De re aedificatoria, opera a cui lavorò fino alla sua morte, un vero e proprio trattato di architettura moderna, cha ha ispirato generazioni di architetti e umanisti di ieri e di oggi. Gli edifici, costruiti nella zona meridionale di Mantova in un’area adiacente all’isola del Te, sono diventati centri simbolici e turistico della città. È da questo raffinato intreccio tra luce e architettura che bisogna partire per un viaggio nel tempo sospeso, astorico, in cui il luogo aziona un dialogo metaforico tra passato che non passa, e il presente, con una mostra ideata in due sezioni: Light Art (opere luminose) curata da Erlindo, e Black Light (opere che si illuminano con la luce di wood, sperimentate nel 1949 da Lucio Fontana, padre della Light Art italiana) con la collaborazione di Gisella Gellini e Gaetano Corcia.

Paolo Scirpa, Moebius Cube

Il percorso espositivo incomincia nel cortile interno della casa di Mantegna (1431-1506), dove poggia a terra un grande specchio circolare, espediente scenografico ideato dal curatore, inserito in un spazio quadrato, volto a rendere omaggio alla sezione aurea, un elemento evidente che si osserva sulla pianta dell’edificio donato al pittore nel 1476 da Ludovico Gonzaga. Questo specchio rimanda al celebre oculo della Camera Picta, la forma sferoidale affrescata sulla volta tra vele e pennacchi dipinti da Mantegna a Palazzo Ducale, da cui si sporgono diversi personaggi e animali incastonati sullo sfondo di un cielo azzurro. Dalla visione da “sotto in su”, una concettuale citazione di un tondo aperto illusionisticamente verso il cielo, ispirato anche all’oculo del Pantheon a Roma, il monumento antico più copiato dagli umanisti, lo spettatore non frettoloso, si immerge in architetture effimere di luce. Come? Basta intraprendere stanza dopo stanza, un percorso dentro il potenziale espressivo della luce, immateriale che diventa sostanza, oggetto, scultura, ambiente e installazione che rimanda alle origini dell’arte italiana prospettiva, l’essenza stessa del Rinascimento e del Neoclassicismo.

Vincenzo Marsiglia, Fold Screen Paper

Gli artisti partecipanti sono Mario Agrifoglio, Nino Alfieri, Peter Assmann, Carlo Bernardini, Nicola Boccini, Leonilde Carabba, Davide Coltro, Guglielmo Paolo Conti, Giuliana Cuneaz, Davide Dall’Osso, Giulio De Mitri, Mario De Leo, Nicola Evangelisti, Elia Festa, Maria Cristiana Fioretti, Giovanna Fra , Silvia Guberti, Massimo Hachen, Margareta Hesse, Oky Izumi, Marco Lodola, Fardy Maes, Federica Marangoni, Vincenzo Marsiglia, Max Marra, Yari Miele, Mary Mutt, Pietro Pirelli, Francesca Romano, Sebastiano Romano, Giuseppe Rosini, Donatella Schillirò, Paolo Scirpa, Claudio Sek De Luca, accomunati dall’uso di materiali luminosi. La mostra attiva cortocircuiti visivi e concettuali con effetti fluorescenti nella sezione Black Light e con LED, proiezioni, laser, elementi luminosi assemblati e il suono, nella sezione più ampia della Light Art: lo spettatore giunge sulla soglia dell’invisibilità, di un metaforico superamento tra opera e architettura, spazio e tempo. Vittorio Erlindo inscena con questa esposizione aperta a riflessioni intorno alla percezione un viatico di spiritualità, invitando il visitatore a intraprendere un cammino lungo i pendii dello spazio esteso, astorico indefinibile e concettuale, ricomposto o trasfigurato nell’essenza della luce. Sono opere da “abitare” come forme effimere di architettura, molte delle quali realizzate per l’esposizione in questo magnifico casa, trasformata in un dispositivo estetico. Ogni singola opera di diverso formato e tecnica, in questo contesto come una singola nota, corrisponde a una visione corale, a uno spartito musicale ideale, in cui anche le soluzioni formali più deboli si valorizzano nel confronto tra loro.

Oki Izumi, Mare mosso

Dopo gli spazi aulici del Palazzo Ducale dell’edizione 2018, la Biennale dell’epoca Covid si confronta con ambienti interni, misurati, pensati in proporzione aurea da Mantegna con l’obiettivo di una estensione dei sensi, oltre i limiti fisici dell’architettura, possible grazie a opere luminose per lo più astratte, geometriche che riflettono sul rigenerante intreccio tra arte escienza, tecnologia e intuizione creativa. Si consiglia il tour dentro alla casa di Mantega in diverse ore del giorno per cogliere al meglio, più evidente in alcune sale con aperture sull’esterno, la relazione tra luce naturale e artificiale, le sofisticate drammaturgie luminose concepite per inscenare “destrutturazione e ricostruzione degli spazi” promesse dal curatore nel titolo della mostra, e trattandosi di luce da vivere e non raccontare. Il cortile esterno è uno spettacolo per i sensi, dove fanno capolino grandi e scenografiche sculture: è meglio visitarlo all’imbrunire o di sera quando il buio valorizza stadi di evanescenza dello spazio con diverse forme di luci anche colorate concepite come punti di connessione tra fisicità e immaterialità. Tra colore, luce, forme luminose di multimedialità, anche il suono nelle opere site-specific in particolare di Pietro Pirelli, assume un ruolo determinante, poiché interagiscono con lo spazio e i nostri sensi. L’intento è di trasformare questa mostra in una esperienza estetica totale, elaborata dalle teorie di Vasilij Kandininskij. Ma la luce non si racconta si vive. Pertanto lasciamo allo spettatore la scoperta tra ambiguità percettiva e seduzione di opere scintillanti, il piacere di perdersi nelle variabili percettive fisiche e concettuali che annulla il confine tra arte e architettura, empatia e tecnologia, in cui l’intreccio tra tradizione e innovazione nella luce è l’opera.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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