Come il modernismo socialista jugoslavo diventa il punto di partenza per una nuova e utopica ecologia contemporanea? Quali possono essere le strategie ecologiche e culturali per immaginare una nuova città? Come queste ultime possono essere viste quali mezzi utopici di sopravvivenza?
Heliopolis, titolo della mostra che fa riferimento ad un’ipotetica Città del Sole, è un progetto espositivo che rientra all’interno del programma di ricerca del PAV, Parco Arte Vivente, che punta al riuso della storia per esplorare nuove e non lineari strategie per un paradigma ecologico. Partendo dal modernismo socialista jugoslavo, con autori e opere sviluppate alla fine degli anni 50 in Croazia, la mostra diventa un paesaggio relazionale che vede i lavori dell’architetto Vyaceslav Richter e del filmaker Vladimir Kristl messi in relazione con le giustapposizioni di Marko Tadić.
«Fare storia partendo dai rifiuti della storia», avrebbe detto Walter Benjamin, citando Edmond de Goncourt. Heliopolis affronta quei rifiuti della storia, quelle opere dimenticate e silenziate. L’intero spazio espositivo, suddiviso in quattro nuclei tematici, o isole, diventa un viaggio attraverso città mai esistite, visioni altre che immaginano diversi modi di fare relazione, di essere società. La totalità degli ambienti muta e si mostra come una capsula del tempo tutta da scoprire. Centrale è l’azione della reinterpretazione, che diventa la lente immaginativa di Tadić, che attraverso il riutilizzo di reperti dell’epoca, cartoline, disegni, mappe, diapositive, quaderni, documenti e fotografie d’archivio, genera nuovi paesaggi sovrapponendo la sua idea di città utopica, con disegni e rappresentazioni, ai lavori d’archivio.
La prima isola, area tematica, è Leaving the frame, un’installazione spaziale che diventa una sorta di arcipelago di Heliopolis, un’area satellite che invita i visitatori ad uscire da una visione occidentale della realtà e ad ampliare lo sguardo verso il possibile/impossibile. Ecco allora miniature di arredo, elementi architettonici, un’enorme ziggurat che sostituisce un’intera città e schermi che mostrano l’edificazione di un paesaggio urbano ideologico. Segue Flow diversions, una stanza che affronta il tema della speculazione edilizia e progettuale attraverso una serie di collage di grandi dimensioni, nicchie archetipiche e poster riposizionati e rielaborati. La terza stanza diventa un percorso tra memorie narrate e storie politiche. The open future, propone una rilettura critica di tutte quelle memorie che sono state rimosse. Lo spazio diventa una sorta di archivio dove giornali e riviste mutano in elementi per una nuova e riesumata memoria. Conclude From the shell (of the old), uno spazio mediale dove immagini e documenti si animano e, attraverso un cortometraggio, si dà vita ad archivi dimenticati.
Heliopolis è una città che si ibrida, si trasforma e che smuove antiche memorie. È un paesaggio architettonico espositivo che mira a stabilire un nuovo ritmo armonico e metabolico nella società, fluidificandosi e mischiandosi col passato, la ricerca e l’utopia.
«Che cos’è stata la civiltà, in fondo, se non il tentativo dell’uomo di convincersi di essere buono? Buono e basta, si badi bene. Il resto doveva essere nascosto da qualche parte, sotto il tappeto. Cosa che la storia ha fatto a volte col guanto, a volte col manganello, eppure c’era sempre qualcosa che riaffiorava, che si liberava, che ribaltava la situazione», Stanislaw Lem in Il congresso di futurologia (1971).
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