Veduta esterna di Ondo, nella sede di via Verga, nel quartiere della Vergine a Pistoia. © Gaia Anselmi Tamburini, cortesia di Ondo
Nel tessuto urbano di Pistoia, Ondo si inserisce con discrezione ma con chiarezza d’intenti in un’area della città che, a pochi chilometri di distanza, ospita da diversi anni anche la nuova sede della storica Galleria Vannucci, in un luogo simbolo del lavoro: un’ex officina meccanica ferroviaria. Ondo, invece, da poco più di un anno ha trovato spazio al piano terra di un ex magazzino tessile degli anni Settanta, a pochi passi dalla stazione, riconvertendo un ambiente storicamente legato alla produzione industriale in uno spazio espositivo e di ricerca.
Ideato e curato da Arianna Iandelli e Costanza Nizzi, Ondo si configura come un’iniziativa indipendente con una vocazione ben definita: valorizzare le pratiche di artisti emergenti italiani attraverso mostre personali che permettano una lettura approfondita del loro lavoro. A queste si affiancano, occasionalmente, esposizioni collettive – come avvenuto nella seconda mostra in programma – che mettono in dialogo voci italiane con artisti provenienti da altri contesti internazionali.
La ristrutturazione dello spazio è stata condotta con rispetto per l’identità originaria dell’edificio. I tratti distintivi dell’architettura non sono stati cancellati, ma piuttosto accompagnati nella trasformazione. Ne è scaturito un ambiente ibrido, in cui la pulizia formale dello spazio espositivo – un vero e proprio “cubo bianco” dalla forte vocazione contemplativa – convive con gli echi del passato manifatturiero. Una tenda separa nettamente la sala espositiva da ciò che resta del magazzino: sono ancora visibili alcune scaffalature cariche di rotoli di tessuto e un lungo bancone in legno, presenze silenziose che restituiscono profondità storica e materica all’esperienza della visita.
Tutte le mostre sono accompagnate da una pubblicazione – Ondo Agenda – che segue di volta in volta il progetto espositivo, accogliendo contributi testuali e visivi di artisti, curatori e scrittori. Realizzata con una grafica e una rilegatura che richiamano le vecchie agende tessili, Ondo Agenda funge da estensione editoriale delle mostre, contribuendo a sedimentare nel tempo i percorsi di ricerca avviati nello spazio.
La mostra inaugurale, Paesaggi Italiani (21 settembre – 9 novembre 2024), è stata dedicata a Giovanni Copelli (Correggio, 1989) e ha introdotto il pubblico alla poetica visiva dell’artista emiliano, attraverso un corpus di opere che esplorava l’identità italiana nei suoi elementi quotidiani e diffusi – panini, interni di chiese, scorci urbani e dettagli apparentemente trascurabili, restituiti con una pittura precisa, sospesa tra documento e costruzione.
La seconda mostra, Dial Dialogue Dial (8 marzo – 4 maggio 2025), ha proposto un dialogo tra le pratiche di Sara Ravelli (Crema, 1993) e Melanie Ebenhoch (Feldkirch, 1985), in risposta al ricamo Torna La Dea al Suo Tempio (1944) di Maria Morino Savinio (Roma, 1899-1981). Il progetto ha intrecciato tre voci femminili, appartenenti a generazioni e contesti differenti, in un racconto stratificato, in cui le opere si alternavano tra citazioni mitologiche, iconografie domestiche e costruzioni teatrali. In occasione della mostra è stata pubblicata Ondo Agenda n.2, con testi di Kasia Fudakowski e Ruggero Savinio – a cui è stata dedicata l’iniziativa poco dopo la sua scomparsa.
In questo contesto si colloca for the kingdom, if I can, terzo appuntamento del programma espositivo di Ondo e prima personale toscana di Stefano De Paolis, artista nato a Bergamo nel 1992 e oggi attivo a Milano. La mostra, visitabile fino al 5 settembre, si costruisce come una riflessione intima sul linguaggio del disegno e della fotografia, articolata attraverso un corpus di opere inedite capaci di evocare una narrazione sospesa, quasi fluttuante. Il titolo enigmatico introduce a un campo d’indagine fatto di desiderio e misura, tentativo e limite.
Fulcro della mostra è un disegno su carta a matita, intitolato Per il regno. È un’opera minuziosa, che appare come un frammento preciso e carico di tensione. Accanto ad essa si sviluppa un ciclo di cinque fotografie in bianco e nero, realizzate in analogico, in cui De Paolis documenta oggetti domestici – un orologio a pendolo, una Thonet, un telefono – elevandoli a reliquie della memoria. La scelta dei soggetti e il trattamento dell’immagine conferiscono agli oggetti una qualità sospesa, come se fossero ritratti non di cose, ma di presenze.
L’intero progetto ruota attorno all’idea di tempo, non tanto come cronologia o durata, ma come stratificazione di segni e memorie. Il disegno, nella sua lentezza operativa, si configura come gesto di resistenza, come pratica quasi monastica in un’epoca dominata dalla velocità e dalla produzione seriale. Le fotografie, d’altro canto, agiscono come strumenti di catalogazione affettiva: sono “ritratti di assenza”, tentativi di fissare ciò che si sta dissolvendo, o forse è già dissolto. Il risultato è un ambiente visivo in cui passato e presente si fondono senza soluzione di continuità, richiamando suggestioni letterarie, cinematografiche, autobiografiche.
A completare il dispositivo della mostra è la partecipazione di De Paolis al terzo numero dell’Ondo Agenda. In questa occasione, l’artista vi interviene come voce laterale, evocando storie legate agli oggetti ritratti e condividendo riferimenti culturali e memorie familiari che espandono l’universo simbolico dell’esposizione.
Se l’esperienza di Ondo si configura ancora come in divenire, la sua presenza in un contesto di provincia come Pistoia è tutt’altro che casuale. Iandelli e Nizzi rivendicano la scelta di operare in una geografia decentrata come possibilità concreta per definire con maggiore libertà i propri ritmi e le proprie priorità, anche dal punto di vista delle tempistiche, senza dover necessariamente rispondere a logiche dettate dal sistema dell’arte istituzionale o metropolitano.
In un ambiente locale non sempre facile – che conserva i crismi tipici di una città di provincia – Ondo si inserisce in una cartografia crescente di spazi indipendenti e gallerie che lavorano con qualità e visione. Insieme a Galleria Vannucci, SpazioA (tra le realtà italiane locali che vantano un forte respiro internazionale), MOON Gallery, NUB Project Space e altri progetti emergenti, si delinea oggi una possibile rete di pratiche che, pur nella loro diversità, potrebbero coordinarsi per condividere risorse o, quanto meno, pubblici – attraverso inaugurazioni comuni, dialoghi tra artisti o progettualità condivise.
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