Per Cerith Wyn Evans, la memoria di Pompei è un canto che arde ancora

di - 1 Agosto 2025

Le intersezioni tra antico e contemporaneo rappresentano, a oggi, una modalità espositiva particolarmente proficua nella valorizzazione di entrambe le componenti: le prime incontrano nuove forme di narrazione e di fruizione, mentre le seconde si “storicizzano” nello specchio delle prime. Seguendo alcuni recenti allestimenti, infatti, si possono tracciare delle linee di continuità tra gli antipodi della storia, sia per affinità formali, cromatiche o visive, sia per “corrispondenze emotive”, percorsi in grado di illuminare le coincidenze tra soluzioni espressive su temi e pensieri che, da sempre, abitano e assillano la specie umana — ma, si vedrà di seguito, coinvolgono tutti gli esseri viventi.

Un’esperienza rilevante di questo genere fu senz’altro Pompei@Madre. Materia Archeologica (2017-2018) un’importante tappa che, nella figura dell’allora direttore del Madre Andrea Viliani — affiancato nella curatela da Massimo Osanna, all’epoca direttore del Parco Archeologico di Pompei — vide la realizzazione di un particolare intreccio di riflessi visivi, materiali ed espressivi. Provando a non dilungare ulteriormente la questione ma invitando a riscoprire quella suggestiva e significativa esposizione, vale la pena rievocare, in questa sede, soprattutto quella ritrovata e ricostruita continuità tra manufatti estremamente distanti nel tempo.

Alcune di quelle materie avevano a malapena condiviso lo stesso continente geografico, eppure, le intenzioni che ne modulavano le espressioni sembravano le stesse, talvolta a partire da una stessa identica materia. Andy Warhol, Rebecca Horn, Jannis Kounellis — per citarne alcuni — appartenevano, davvero, a un’unica grande storia, in cui le inquietudini, il fare e le speranze, apparivano immutati; capaci di interrogare, come eterni ritorni del pensiero, con la stessa insistenza e ossessione.

Cerith Wyn Evans, foto di ricerca, albero fossile dall’Antiquarium di Boscoreale (particolare). Courtesy l’artista e Parco Archeologico di Pompei

A oggi, il programma Pompeii Commitment. Materie Archeologiche si rinnova ancora nella figura di Andrea Viliani — oggi direttore del MUCIV – Museo delle Civiltà di Roma — che ha curato con Stella Bottai, Laura Mariano e Caterina Avataneo il nuovo progetto appositamente dedicato alla specificità dell’Antiquarium di Boscoreale attraverso alcuni lavori dell’artista gallese Cerith Wyn Evans. Pompeii Threnody, in mostra fino all’11 gennaio 2026, è un percorso di fatto di tre nuclei che attraversano la collezione dell’Antiquarium: una serie di nove fotoincisioni che ritraggono i resti fossilizzati dei cipressi della piana del fiume Sarno — Pompeii Threnody (The Ancient Cypress Tree of the Sarno Plain); due lampade-scultura in forma di palma dorata, provenienti dalla collezione privata dell’artista; un’installazione circolare luminosa che recita e si intitola con il celebre palindromo IN GIRUM NOCTE ET CONSUMIMUR IGNIAndiamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco.

Pompeii Threnody di Cerith Wyn Evans, Antiquarium di Boscoreale, 2025, Photo credits Amedeo Benestante. Courtesy Cerith Wyn Evans e Parco Archeologico di Pompei

Il percorso in mostra è inaugurato alla presenza di un efebo lampadoforo, lo stesso che, nel 2017, in Pompei@Madre, si affacciava sul monolite di Richard Serra (Giuditta ed Oloferne, 2005), e che per questa esposizione detta una traccia cromatica che ripercorre i vari ambienti, ispirata ai residui dorati presenti sulle labbra della scultura. Con la serie di fotoincisioni, l’artista gallese «Condensa in una matrice multipla e in un impasto paziente, sia il tempo passato che il tempo presente» e in questo, è opportuno aggiungere, include anche un prezioso dialogo tra specie, onorando i cipressi come testimoni silenti di quell’eruzione.

La memoria del 79 d. C. rivive intensamente nella frase che Cerith Wyn Evans ripropone in una stessa sala in cui è presente anche il carro di Civita Giuliana, rinvenuto nel 2021. Il palindromo latino, infatti, deriva da una serie già avviata nella pratica dell’artista e che, in questa occasione, “ritorna” a casa, proprio perché, come dichiarato dallo stesso Evans «Appartiene a Pompei».

Pompeii Threnody di Cerith Wyn Evans, partial exhibition view, Antiquarium di Boscoreale, 2025, Photo credits Amedeo Benestante. Courtesy Cerith Wyn Evans e Parco Archeologico di Pompei

La straordinaria rilettura delle commistioni tra archeologia e arte contemporanea che anima il nuovo approdo di Pompeii Commitment si deve soprattutto a una particolare linea operativa, qui assolutamente minimale — come ha riferito lo stesso Viliani nel corso dell’anteprima — e attraverso una doppia e vitale specificità. Gli interventi di Cerith Wyn Evans non si limitano a un contrappunto visivo ma offrono in maniera puntuale le peculiarità del linguaggio contemporaneo, che partecipa attivamente — sebbene, con particolare discrezione — al racconto ininterrotto tra epoche e materie, esprimendo le unicità del nostro tempo e delle nostre immagini.

Pompeii Threnody di Cerith Wyn Evans, partial exhibition view, Antiquarium di Boscoreale, 2025, Photo credits Amedeo Benestante. Courtesy Cerith Wyn Evans e Parco Archeologico di Pompei

Questo dialogo si svolge, proprio come anticipato in apertura, come un engramma collettivo e condiviso tra epoche lontane: nel viscerale andamento funebre della trenodia, tutte le voci si incontrano, parlano della propria era e delle proprie anime. L’oggi perpetua il ricordo delle anime di quel luogo e l’antico lo invita a unirsi, insegnandogli ad armonizzare quel canto; migliaia di dolori in condivisione: ognuno stringe in voce il proprio frammento di memoria e lo intesse con l’eterno.

Pompeii Threnody di Cerith Wyn Evans, partial exhibition view, Antiquarium di Boscoreale, 2025, Photo credits Amedeo Benestante. Courtesy Cerith Wyn Evans e Parco Archeologico di Pompei

A questo punto, si perdoni una breve intromissione soggettiva, per cui non si può fare a meno di menzionare la condizione di chi, come lo scrivente, abita alle stesse pendici di quel vulcano — che sostituì innumerevoli vite con un vuoto e alcuni pensieri con il vetro — e respira da tutta la vita il vibrare di quell’inquietudine. Quando i profili di quel cratere incidono le immagini di molti sogni e i suoi esiti sono lì a guardarti, con volti e volontà dispersi nel gesso, non puoi fare a meno di unirti, ardentemente e con lo spirito, tra le fila di quel coro. Ma la memoria dei defunti, il dolore e le inquietudini non sono affatto esclusivi, non serve caratterizzarli — e, forse, non aiuta nemmeno —, si condividono con il mondo e la storia intera. E questo Pompeii Threnody lo racconta nitidamente. Per cui non si provi esitazione o smarrimento di fronte all’incomprensibile dolore di quelle voci ma si accolga l’invito ad ascoltare attentamente il profondo tremore di quel vivido ed eterno canto.

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