Motus ha iniziato il cammino verso Per Paolo Pasolini con Come un cane senza padrone, rilettura filmico-teatrale di Petrolio. La descrizione pasoliniana della periferia romana si traduceva –in quel caso- in una videoinstallazione a tre ante sulla parte destra del palcoscenico realizzata con lunghi piani-sequenza dai tre lati dalla macchina in corsa. Nella parte sinistra un film raccontava l’incontro tra l’ingegnere e il cameriere e il loro rapporto sessuale esplicito, con il testo narrato in diretta da Emanuela Villagrossi e doppiato live da Dany Greggio e Franck Provvedi. Campeggiava sulla scena la macchina di Pasolini ricostruita in vetroresina.
Ne L’ospite -da Teorema– co-prodotto dal Teatro Nazionale di Bretagna e fiore all’occhiello di una grigia edizione del festival di Santarcangelo, rimane strettissimo il rapporto tra letteratura e cinema (con brani da Teorema, Petrolio</i, Appunti per un film su San Paolo che formano vere e proprie scritture di luce sul film che scorre).
Il trittico video -che torna anche in questa mise en scene– rilascia l’illusione di uno spazio tridimensionale, di una camera ottica, di un’enorme casa senza la quarta parete a cui è affidata la cronaca in immagine di una famiglia della ricca borghesia. Davanti alla casa con giardino, padre, madre, figlio, figlia in uno stato che non critica se stesso. Siamo dentro la cattedrale gotica dove si venera un’icona preziosa: l’immagine venerabile della sacra famiglia borghese. Ed è Teorema un testo “nato su fondo oro, dipinto con la mano destra” spiegava lo stesso Pasolini “mentre con la mano sinistra lavoravo ad affrescare una grande parete (il film omonimo). In tale natura anfibologica, non so sinceramente dire quale sia prevalente, se quella letteraria o quella filmica”.
L’ospite con la sua perturbante sessualità, vìola questo interno asettico, costruito secondo un asse prospettico perfettamente centrale, ne sconvolge le regole, le proporzioni, ne mette in luce le quinte, mostra il graticcio, i cavi, scardina l’apparente tranquillità introducendo nella finzione (dunque nel film) l’evento inatteso e liberatorio. Che altro non può essere se non la carne, il corpo ovvero quella “terra non ancora colonizzata dal potere”. Vanificata l’illusione, rimane la realtà nella sua veste più tragica una volta constatata l’insofferenza dei personaggi verso la propria nuova condizione e diventati tutti “casi di coscienza”.
Tra gli interpreti l’intesa Emanuela Villagrossi, nel ruolo che fu della Mangano. Tutto termina con l’eplosione (le bombe fasciste? le stragi degli anni Settanta?), con la corsa folle e con l’urlo destinato a durare oltre ogni possibile fine del ricco padrone Paolo nel deserto. Quel deserto simbolo di una condizione estrema di solitudine, ma anche luogo di illuminazione e di mistica visione, quel deserto che ha punteggiato tutto lo spettacolo e che ricorda l’ambientazione di molti film di Pasolini.
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