Categorie: arteatro

TEATRO

di - 24 Novembre 2017
Questo fine settimana (25 e 26 novembre) andrà in scena nell’ambito di Romaeuropa The ocean is closed, nato dalla collaborazione dell’ensamble Zeitkratzer e del collettivo She She Pop. Un lavoro che suscita molta curiosità proprio per l’incontro tra mondo musicale e teatrale, incarnato da due delle realtà più interessanti del panorama contemporaneo.
Abbiamo incontrato Lisa Lucassen di She She Pop per parlare di biografie, memoria, del senso di essere un collettivo e dell’incontro con Zeitkratzer.
Che cosa vuol dire essere un collettivo?
«Vuol dire molte cose, come queste:
non devi lavorare da solo,
non devi essere l’unico ad avere delle idee,
non puoi imporre la tua visione se agli altri non piace,
hai bisogno di molto tempo per portare avanti delle discussioni,
non lavori all’interno di una struttura gerarchica dove alcune idee valgono più di altre,
avrai un risultato artistico che contiene una moltitudine di voci: più un coro che un assolo».
Che ruolo gioca la memoria nei vostri lavori? Nel vostro sito parlate dell’inclusione delle vostre biografie come strumento di lavoro: come si traduce questo in termini metodologici?
«She She Pop, normalmente, non lavora con un testo dato, ma piuttosto ogni performer scrive (o improvvisa) il proprio testo. Per fare ciò prendiamo noi stessi come esempio e usiamo le nostre biografie come materiale. Sappiamo che la biografia di una persona può essere raccontata in molti modi, per ciò, ci sono delle scelte che devono essere necessariamente fatte a partire da un’abbondanza di materiale possibile».
Qual è la scintilla che fa scattare l’idea di un nuovo lavoro? A quali materiali vi rapportate quando iniziate a pensare a una performance?
«Cerchiamo di pensare a una questione che abbiamo in testa, ma che sia importante per un gruppo sociale più ampio e della quale valga la pena parlare a livello teatrale, ovvero parlarne in presenza di un pubblico. Se troviamo un’idea formale che produce una tensione interessante con il contenuto iniziamo a svilupparla. Usiamo tutti i materiali che troviamo: musica, letteratura, teatro, film, quotidiani, televisione, conversazioni che abbiamo avuto, aneddoti della nostra vita personale, a volte, anche lettere che abbiamo scritto o ricevuto, i nostri diari. Probabilmente il materiale più importante viene fuori quando cominciamo a provare e a improvvisare, molto spesso con dei giochi dei quali facciamo noi le regole».
Zeitkratzer – Foto Johan Coudoux
Come descriveresti la vostra pratica? In quali termini può essere descritta come politica?
«Idealmente, la nostra pratica è molto democratica: ciascuno di noi per un certo periodo può essere alla guida e poi sarà sostituito da qualcun altro. Dato che non abbiamo ruoli distinti: il drammaturgo, il regista, l’attore, ma, tutti questi ruoli sono incarnati da ciascuno di noi, non ci sono gerarchie all’interno del gruppo. Speriamo che tutto questo si veda nell’arte che produciamo. Come ho detto prima: nelle nostre pieces il pubblico si confronta con una multitudine di visioni che coesistono».
Parlando di The ocean is closed: come è avvenuto l’incontro con  Zeitkratzer? Che tipo di dialogo stabilite con la musica dal vivo?
«Alcuni di noi si conoscevano tramite degli amici in comune o per essere stati spettatori dei loro concerti (e forse alcuni membri di Zeitkratzer avevano visto delle nostre performance). La collaborazione è stata una loro idea, all’inizio noi non eravamo così convinti di riuscire a creare qualcosa insieme, dato che parliamo linguaggi artistici molto diversi. In  The ocean is closed tentiamo un dialogo in cui impariamo un poco del linguaggio artistico dell’altro gruppo, ma non troppo».
Ci sono differenze tra il mondo musicale e quello teatrale?
«Credo che la differenza principale sia come funzionano le prove. I musicisti sono soliti a provare individualmente il loro materiale, successivamente lo mettono insieme e sono pronti per andare in scena. Noi siamo abituati a provare per settimane, a sviluppare materiale e scartarne una parte, preoccupandoci molto della drammaturgia».
Cosa avete scoperto di voi come collettivo dopo questa esperienza con Zeitkratzer?
«Ho paura che non abbiamo ancora finito di scoprire delle cose…una cosa che è sicuramente certa è che noi siamo un collettivo, Zeitkratzer non lo è. Loro hanno un capo, noi siamo tutti capi».
Una parola per descrivere il vostro lavoro:
«Polifonico»
Un libro che ti ha segnato:
«Infinite Jest di David Foster Wallace (ma questo vale per me, non per tutto il collettivo!)».
Se potessi scegliere un personaggio (della storia, dell’arte, della letteratura…) da invitare a cena, chi inviteresti?
«Bertolt Brecht (penso che anche il resto di She She Pop sarebbe d’accordo)».
Paola Granato

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