Categorie: arteatro

TEATRO

di - 1 Dicembre 2017
Il secondo appuntamento delle “Furla Series” alla Sala Fontana del Museo del Novecento di Milano, come vi abbiamo anticipato nel nostro opening, è stato con la performer di origine greca Alexandra Bachzetsis (1974, vive a Zurigo).
Cinquanta minuti in cui, ne siamo certi, lo spettatore è rimasto disorientato, a volte forse estenuato dal silenzio e probabilmente, anche un po’ indispettito dalle “pose” e dai movimenti che Bachzetsis porta in scena con il suo Private: Wear a mask when you talk to me.
C’è però un sintomo inconfutabile: Bachzetsis inchioda la platea che la segue con gli occhi, nelle sue rapidità ginniche, nelle sue pose sensuali, nel mimo del sesso, in quel vestito di latex nero che “apre le danze” e che sembra uscito senza soluzione di continuità da una festa bondage o da una serata di gala, non foss’altro per la sua composizione polimerica. E perché l’artista, ai piedi, non ha scarpe da sera ma da ginnastica. Ce la si aspetterebbe nuda, con la sua bellezza ferina e ammaliante, mentre si muove avvolta in una tuta termica della Everlast posando le mani su seni e genitali, come su un set fotografico per adulti. Poi mischia i ruoli: si trasforma in “caballero” sulle note di una chitarra ispanica, mentre ci accoglie  in fase trucco-mascherata con Grace Jones che in sottofondo canta Slave to the rhythm.
E mentre la sala è ammutolita, prima di un applauso finale a dir poco scrosciante, lei è invece una rifrazione di corpi e immaginari, prismatica e, ancora, accattivante. Consapevole e incolpevole di una bellezza che non si spegne nemmeno con un asciugamano bianco in testa, nell’ultimo atto dell’azione: dopo aver abbandonato via via il trucco, una posticcia e lunghissima coda di cavallo, immerso i propri capelli in una tinozza d’acqua, e dopo essersi pettinata all’indietro, riprendendo le forme di ragazza e smettendo idealmente quelle di performer, si mette al microfono. E per chi non avesse studiato un poco il personaggio è un piccolo tuffo al cuore: una canzone greca, dolce e sensuale. E anche se non se ne comprendono le parole è il capolinea. Si torna se stessi, prima della prossima maschera con la quale vestirsi, per parlarsi.
Matteo Bergamini

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