Più che una presunta quanto impossibile completezza, la mostra vuole focalizzare il clima d’inquietudine umana e prima ancora filosofica che caratterizza gran parte della prima metà del Novecento europeo, in modi certo diversi, ma accomunati da un’analoga tensione. In particolare, anche se questo sentire comune è caratterizzato da una forte extraterritorialità, la rassegna si concentra sul privilegiato asse italo-tedesco: con Espressionismo da una parte, Novecento dall’altra, uniti da caduta del positivismo e scoperta dell’inconscio, nonché della conseguente nudità dell’uomo.
Influenzati dal teatro di Strindberg e Wedekind, ma soprattutto dalla filosofia di Nietzsche –in particolare della sua concezione dell’uomo come tensione, come ponte- gli artisti tedeschi del gruppo Die Brücke trasferiscono sul corpo e sul volto le pulsioni dell’animo. Se il loro sguardo va a precursori come Van Gogh, Ensor e soprattutto
La Nuova Oggettività, figlia del crollo dell’età guglielmina, porta in sé un desiderio di concretezza, carico degli orrori della Prima Guerra Mondiale. Ma se lo sguardo è lucido ed analitico, la tensione emerge dalla critica analisi della società che tocca punte prossime al grottesco: presagisce così quel clima di decadenza morale e civile che da lì a poco vedrà spazzar via la giovane Repubblica di Weimar ad opera del nazismo. Una china come Irruzione nella casa (1920ca.) è assai rappresentativa della causticità di Grosz nei confronti di classe dirigente, borghesia, clero ed esercito in testa. Non meno carichi di tensione sono i personaggi ritratti da Dix e Hubbuch, mentre nei due quadri di Radziwill, allievo di Dix, le figure inquietano per la sospensione surreale.
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