Per l’allestimento dell’unica personale in uno spazio privato, legata ad una tematica sviluppata in Messico, Omar Galliani ( Montecchio Emilia, 1954 ) sceglie di fare le cose in grande. Colorando le pareti di giallo, rosso, blu e grigio grafite come sfondo a quattro grandi opere, nelle quali il soggetto s’impone sul supporto pur convivendo e interagendo direttamente con esso. E riesce egregiamente nel suo intento, creando un progetto studiato che non mostra cadute di tono. Dalla visione quotidiana Galliani cattura la fisionomia delle sue nuove sante da passerella – che si muovono su sfondi bianchi messi in risalto dai colori messicani delle pareti – dipinte ad olio su tela o disegnate a grafite su tavola di legno di pioppo, supporto dove l’arborescenza vegetale si mischia alla cavità minerale, l’albero alla grafite pura – forma originaria del diamante – nel rapporto alchemico delle due polarità cromatiche, bianco e nero. Utilizzando un legno vivo (i pioppi del Po), unisce nel contrasto una tecnica antica ed un soggetto quotidiano e pienamente attuale.
Con perizia tecnica, che permette di rivelare le ombre della pelle e i chiaroscuri, di muovere e sollevare la pittura ancora fresca, lavorandola per rendere l’idea del tessuto damascato del vestito, Galliani sonda le sfaccettature della pulsione di fede delle ragazze d’oggi, marchiate da piercing e tatuaggi, combattive ma in realtà emotivamente fragili e desiderose d’appartenenza. Femmine
Le simbologie archetipiche della fede tornano anche nella serie dei raffinati dittici, un lavoro laico dalle reminiscenze orientali, dove il simbolo diventa elemento decorativo. Falli, fiori e sacri cuori calligrafici rivelati dalle graffiature del legno uniti a santi con l’aureola macchiata di rosso, a significare l’immagine quotidiana intaccata, così come viene intaccato il segno monocromo dall’elemento cromatico, l’impronta digitale che si sovrappone al nero fuligginoso della matita.
Omar Galliani parte dall’ombra per tornare alla pittura e svelarne i suoi colori. Questo afferma nel titolo riassuntivo della mostra. Ma la radice rimane sempre il disegno, eseguito magistralmente con una semplice matita, mezzo quotidiano per prendere appunti, qui con un suo preciso ruolo. “Voglio un disegno che veda dentro alle vene del foglio, che abiti i muscoli del cielo, che moltiplichi i doni, che profumi di zolfo, che lieviti i sogni, che esplori gli oceani” scrive nel suo testo in catalogo. E questi sono i risultati.
francesca baboni
mostra visitata il 19 novembre 2005
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