Piacevole è interrogarsi, passando tra le
sale del Palazzo dei Diamanti, sul rapporto tra gli artisti e chi ne sa
riconoscere il valore, incoraggiandoli alla produzione, al confronto, alla
sperimentazione. Non per avere risposte assolute – impossibili – ma per
rimettere in gioco felici intrecci di pensiero sull’importanza di quegli
intellettuali capaci di straordinarie intuizioni per coraggiose ricerche. Con
l’invito agli autori/creatori a varcare i confini.
È il ritratto di
Aimé Maeght, gallerista e mercante d’arte, senza contraddizioni. Con un’idea di
comunità che trova spazio ideale e reale per accostamenti anche arditi e
divertiti nella rivista Derrière le miroir, che accompagnava
le diverse esposizioni.
La mostra di Ferrara è quindi un felice
incontro con una figura di rilievo, sotto diversi aspetti geniale, della
cultura del Novecento. Aimé Maeght, magistralmente affiancato dalla moglie Marguerite,
opera in un periodo storico particolarmente fecondo, originale, innovativo:
dall’apertura della Galleria Maeght a Parigi nel ‘45 all’inaugurazione della
Fondazione nel ’64.
E naturalmente ci sono le opere: Bonnard,
Matisse,
Kandinsky, Braque, Chagall, Miró, Giacometti, Calder…
Materiali, poetiche, stili differenti per un centinaio di creazioni che possono
essere “lette” per autori, contaminazioni, giochi, scoperte, amicizie. Magari
prendendo spunto dal fatto che “le noir est une couleur”, come si
leggeva sulla copertina di un numero della rivista.
A Ferrara è documentata l’amicizia con Matisse e Bonnard. E con Braque. Costante il
rapporto con altri intellettuali, poeti, ricercatori: il piacere delle pagine
illustrate, parole/colori/idee. E l’incontro con André Breton per
l’esposizione Le Surréalisme en 1947: in mostra c’è anche il catalogo dalla
giocosa copertina ideata da Duchamp, con protesi di seno femminile e la
preghiera di “toccare”. E non si possono non citare il Serpente di Miró, I giacinti di Braque, il Sole
giallo di
Chagall. Magnifiche poi le sculture di Giacometti: nel gruppo La
foresta
natura e cultura paiono fondersi in tremanti creature ferme e solitarie,
smarrite, spaesate, prive di contatti, anche gli sguardi lontani. Deliziosi poi
gli uccelli in fil di ferro di Calder.
Molto belle – memoria di persone, di
luoghi e gesti – le fotografie. Tra queste, particolarmente suggestiva quella
con Aimé Maeght e il suo cane Asco dietro al Cane di Giacometti il
giorno dell’inaugurazione della fondazione, il 28 luglio 1964. E l’ultima
sezione della mostra è proprio dedicata al progetto di creazione di quel luogo
d’arte, a Saint-Paul-de-Vence, dedicato al figlio Bernard, alla sua giovane
morte, con foto e bozzetti.
L’aspetto avventuroso, laboratoriale
della galleria si trasferisce, in una dimensione ampliata, come confluenza di
più arti, nella fondazione che, nella parole dello stesso Maeght, non doveva
essere un museo statico: “Tutte le attività che hanno luogo attorno alle
opere d’arte sono molto importanti: danno vita alle opere stesse”.
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valeria ottolenghi
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