Roberto Sebastian Matta Echaurren (1911-2002), uno dei più grandi protagonisti del Novecento, ebbe una vita fatta di continui spostamenti. Sbarcato dal natìo Cile in Europa nel 1933, lavorò come assistente di Le Corbusier a Parigi, ove ebbe modo di entrare in contatto con le avanguardie, in primis con il Surrealismo di Dalì e Breton, ma anche con Picasso, presso il quale ebbe modo di assistere alla nascita di Guernica. Del Surrealismo acquisì il linguaggio, la potenza dell’inconscio, la gestualità dell’automatismo, col quale diede vita a mondi, universi paralleli popolati da figure totemiche, favolosi personaggi desunti dall’arte primitiva e delle antiche civiltà precolombiane, segni ora umanizzati ora ridotti in forma geometrica. La sua accezione di Surrealismo, la sua deflagrazione dell’angusto e rigido spazio cubista, esercitò una notevole influenza sui pittori americani allorché allo scoppio del secondo conflitto
Finito il conflitto bellico, Matta dal 1950 scelse l’Italia come patria adottiva, trasferendosi a Roma. Sono gli anni della contrapposizione tra realismo ed astrazione, e delle ancor più assurde censure politiche. Matta, socialista dalle idee rivoluzionarie, vi partecipò con passione, tant’è che nel 1963, in occasione di una vasta antologica tenutasi al Museo Civico di Bologna, prese parte a una tavola rotonda, assieme ad Arcangeli, Argan e Guttuso, sul tema “Arte e rivoluzione”, dichiarando una sorta di frattura nella sua produzione: un prima di furor e protesta, un dopo –consequenziale- d’amore, libertà e incontro.
La sua produzione, fatta soprattutto di vaste tele e ricercate opere
I lavori in mostra risalgono al trentennio che arriva fino agli ultimi anni Sessanta, quindi si tratta forse di opere più genuine e meno di maniera, senza nulla togliere alla produzione successiva, compresa quella degli anni Novanta, sempre brillante ed esplosiva. Tra le opere più interessanti, Sono tanto pesce, opera del 1938 che ricorda lavori coevi di Masson, la lirica scena d’interno d’un universo parallelo in Elle parle par ses abimes (1968), la provocante I merdecanti d’arte (1970), esplicita critica al sistema dell’arte, ed altre opere ove i suoi favolosi esseri sono alle prese con oggetti della modernità, dalla macchina da scrivere all’automobile, in un continuo flusso di colori e biomorfismi.
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Sulla morte di Matta, con un link ad una sua intervista
bibliografia consigliata
-Sebastian Matta, catalogo mostra antologica a Bologna, ed. Bologna-rivista del Comune, Bologna, 1963
– G. Ferrari, Matta, etcetera..et..etcetera, Milano, Skira, 1996
duccio dogheria
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