Modena, grazie alla preziosa collaborazione della Peggy Guggenheim Collection, ha messo a segno un altro colpo. Un’ottima esposizione, realizzata con un centinaio di opere provenienti dalle collezioni Guggenheim nonché con alcuni azzeccati prestiti da collezioni private, che ripropone –dopo la mostra veneziana del 2002- il primo e forse più importante dei movimenti americani, l’Action Painting.
Se grande spazio è stato dato –e ci mancherebbe- alla figura dello sciamanico Jackson Pollock, il percorso si apre anche alle altre stelle della pittura americana di quegli anni, nonché a personalità poco conosciute in Italia ma tutt’altro che minori. Altro merito è affiancare accanto alle opere su tela, spesso di vaste dimensioni, disegni su carta, monotipi e bozzetti preparatori, a dimostrare come anche l’action painting, a dispetto della sua mitizzata frenesia, non prescindeva da una fase di studio: vernice che cola in velocità, quindi, ma s’un tracciato nient’affatto improvvisato.
Il percorso s’avvia ricordando come le origini dell’arte americana siano profondamente debitrici nei confronti dell’arte europea. Un ponte costruito da illuminate personalità quali Peggy Guggenheim, che promosse l’arte europea –astrattismo e surrealismo in testa- nella sua stravagante galleria Art of This Century, ma anche da tragici eventi come l’avvento del nazismo e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che determinò la diaspora oltreoceano di molti artisti europei.
Chi ispirò, in un modo o nell’altro, l’avanguardia artistica statunitense? Kandinsky,
Ben undici i lavori esposti di quest’ultimo. Ripercorrono il breve e tormentato excursus stilistico dell’artista: dall’inconscio espresso junghianamente tramite archetipi che rimandano ai nativi americani, fino alle opere più note, ove ogni traccia di figurazione si dissolve nell’apparente caos del dripping che Pollock utilizzava per trasformare la superficie della tela in un campo di battaglia.
Tra gesto e segno si collocano anche le opere di Smith, Francis, Motherwell, de Kooning, Tobey e Kline, del quale sono esposti ben sette lavori. Ad un altro versante, quello del mito e dell’archetipo, rimandano invece le opere di Still, Gottlieb, Pousette-Dart e Marca-Relli. Di quest’ultimo ricordiamo La morte di Pollock (1956), ultima, tragica opera che chiude il percorso.
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