Giosetta Fioroni (Roma, 1932) deve la sua fama soprattutto al fatto di aver legato il suo nome alla stagione della pop art italiana, e in particolare alla scuola di piazza del Popolo. Negli anni ’60, con Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli e Mimmo Rotella, fu infatti protagonista della sfaccettata stagione nostrana di rielaborazione dei simboli della cultura “popolare” in chiave critica. In quest’ambito si dedicò soprattutto al recupero della figura femminile, prelevata per riproporla, dilatata e rivista, con tecniche diverse (collage, smalti su tela). Da allora si è cimentata con vari media, tra cui la performance e le miniature in legno -il padre era scultore e la madre marionettista-, per poi far ritorno negli ultimi anni a tecniche più tradizionali, come pastelli, olio su tela e ceramica.
In questa mostra la Fioroni si allontana da qualunque intento sociale per dare vita ad un viaggio nella memoria. Ripropone infatti, da una parte immagini fotografiche ridipinte della famiglia e dei luoghi dell’infanzia, testimonianza dei primissimi anni di vita trascorsi a Bologna, dall’altra una serie di pastelli in cui raffigura monumenti della città e simboli legati alla memoria di essa. In particolare le farfalle vist
Nelle prime l’artista recupera tecniche pop, quali il collage su carta e la ridipintura a olio di vecchie fotografie (fatte ingrandire e stampare su tela emulsionata), applicate però qui a immagini estremamente personali. Ritratti della madre, tra cui una classica foto di classe, i genitori da giovani, la famiglia in posa, il nonno nella divisa da garibaldino. Parte delle stesse opere è riproposta in una versione rielaborata con strumenti di computer graphic, per dar vita a variazioni cromatiche rispetto all’originale, e stampate su lastre di alluminio. L’intento è rivitalizzare quell’immagine immobile che è la fotografia, tirarla fuori dall’immobilizzazione che, per usare le parole di Barthes, in essa “non si manifesta che in modo eccessivo, mostruoso: nella fotografia il tempo è ostruito; da qui il rapporto con il quadro vivente il cui prototipo mitico è l’addormentato della bella addormentata nel bosco”.
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