Un oblio che ora la mostra di Ferrara vuole decisamente superare, permettendo ai visitatori di ammirare oltre settanta opere di un artista dalla personalità complessa, cosmopolita e raffinata, noto soprattutto per aver ritratto i più importanti esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia inglese ed americana tra Otto e Novecento, ma che seppe anche cogliere il fascino incantevole di luoghi quali Capri, Venezia, il lago di Garda, rivelandone di volta in volta l’aspetto crudo, realistico, malinconico e poetico, sottolineato sempre da una straordinaria capacità rappresentativa.
Sargent nacque nel 1856 a Firenze, e qui ebbe una prima formazione pittorica, successivamente approfondita da continui studi sull’arte antica che rinsaldarono il legame con il nostro Paese, da lui avvertito come inesauribile fonte di ispirazione.
Attraverso un iniziale equilibrio tra ritrattistica e quadri ispirati ai suoi viaggi europei, egli dimostrò di saper valicare la cortina divisoria fra tradizione ed innovazione, rispondendo alle sollecitazioni del pittoresco e dell’esotico (generi consolidati nell’arte e nella letteratura dell’Ottocento) con sofisticata ricercatezza ed acuta sensibilità.
Esemplificativo di questo diffuso “orientalismo” rimane lo splendido quadro dipinto a Tangeri nel 1880, Fumo d’ambra grigio, il quale, immortalando l’atto rituale compiuto da una giovane donna, evidenzia già una finissima capacità melodica nel rendere i tenui trapassi chiaroscurali del bianco sul bianco, risolvendoli con rara delicatezza ed estrema meticolosità.
Dopo il 1882 Sargent decise di concentrarsi sulla ritrattistica femminile, concependola come una forma d’arte fortemente teatrale, tradotta in modo istintivo da una sperimentazione formale e da una immediatezza di caratterizzazione sbalorditiva, sempre valorizzata da un cromatismo la cui armonia ne sottolinea la brillantezza pittorica.
Attraverso un filtro psicologico totalmente innovativo,
Basti citare il Ritratto di bambina, assolutamente moderno nella sua apparente mancanza di soggetto, la cui dispersione figurale risulta coesa da un gioco unitario di colori e chiaroscuro; il ritratto di Madame Gautreau, stupefacente nel suo raffinato realismo e nella sua purezza formale, sottolineato da un incarnato bianco perla eccessivamente “scandaloso” per i visitatori dell’epoca; o quello della signora White, che lo scrittore Henry James non esitò a definire “splendido e piacevolissimo”, la cui resa calma e distaccata, elegante in quell’abito bianco di foggia settecentesca, attesta una tale “libertà, facilità e autorevolezza che uno deve ammirarla suo malgrado”.
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elena granuzzo
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