Di certo l’operazione più efficace dell’artista austriaco è stata far riscoprire il rigoglioso itinerario museale di Palazzo Poggi. Questo perché nel caso specifico, molto più che in altri simili, la sede non subisce l’ingresso dell’ospite passivamente, ma attua un dialogo proficuo per entrambi gli interlocutori.
Markus Schinwald (Salisburgo 1973; vive a Vienna) s’intromette delicatamente entro i datati contenitori di naturalia, “come se qualcuno nel tentativo di realizzare qualcosa di contemporaneo parlasse un linguaggio arcaico o facesse ricorso ad una sorta di antica fantascienza” (da una dichiarazione dell’autore). Scorrendo, infatti, attraverso il lungo elenco di recenti reperti, inseriti arbitrariamente tra uova di struzzo e fossili conservanti la forma di ancestrali molluschi, si trovano oggetti arrivati ad ottenere l’attestato di opera da conservare per l’alto grado di stranezza. Così è inutile stupirsi se osservando le teche capita di non scorgere a prima vista gli “organismi dadaisticamente modificati”, come eleganti scarpe con tacco che accolgono un piede biforcuto o preziosi guanti di pelle monchi di alcune falangi, confondendoli il più delle volte nella complessiva atmosfera Wunderkammern. Continuando il percorso, l’occhio allenato del visitatore non avrà difficoltà a scorgere nelle stampe riproducenti personaggi in abiti sei-settecenteschi, particolari anomalie, direttamente pescate dal dizionario delle avanguardie. I protagonisti di questi ritratti di famiglia vengono rispettivamente nascosti da drappi che ne camuffano l’identità, piuttosto che sorpresi nell’atto di compiere azioni assurde, trasportati liberamente in un gioco enigmistico alla scoperta delle differenze.
Nel restante percorso, ospitato nelle sale della Biblioteca Universitaria, la sensazione cambia solo apparentemente. Le stampe su tessuto, organizzate funzionalmente a mo’ di paraventi, consentono di ri-ambientare gli oggetti in esse contenuti secondo una pregnante poetica di decontestualizzazione. Così come il fantoccio che abita la sala di lettura riproduce azioni ripetive intorno agli scaffali, ponendosi come alter ego della quantità di fruitori che, negli anni, hanno “abitato” quegli stessi spazi.
In un certo senso gli artificialia di Schinwald parlano di una realtà abnorme, che con quella quotidiana vive a stretto contatto. L’artista, come Aldrovandi, Cospi e Marsili (tre dei maggiori fautori delle attuali collezioni del museo) si fa collezionista, e nel contempo propone una riflessione sulla condizione dell’istituzione-museo. Non si può dimenticare che l’esposizione (o meglio l’operazione) si colloca all’interno di un ciclo di dodici mostre che ruotano intorno all’identità e alla funzione contemporanea del museo chiamate appunto +Museo –Mostre.
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