Da anni Ferrara ci ha abituato a mostre di gran richiamo. Il capoluogo estense si è costruito negli ultimi decenni la fama di grande centro espositivo. Merito, certo, della grancassa pubblicitaria. Tuttavia l’alto profilo degli eventi organizzati ha spesso messo d’accordo critica e pubblico.
Questa volta è il turno del Cubismo, l’avanguardia di Picasso e Braque: ben 90 capolavori provenienti dalle maggiori collezioni europee ed americane. Distribuite con un’insolita scelta museografica.
Un doppio registro, cronologico e tematico, è stato scelto come metodo d’investigazione della più intellettuale fra le avanguardie pittoriche. Forse le origini della curatrice, Marilyn McCully, tradiscono il criterio analitico con cui sono stati raggruppati i quadri. Le sale sono dunque suddivise in Ritratti, Paesaggi, Papiers Collés, Natura morte, e Teatro.
Il movimento prende le mosse dalle intuizioni del genio di Pablo Picasso che nell’estate del 1908 assieme all’amico Georges Braque nella campagna presso Estaque, vicino a Parigi, sperimenta una nuova strategia della rappresentazione. La realtà visibile verrà ora restituita attraverso la scomposizione dei piani, trasformando la superficie bidimensionale della tela in uno spazio in grado di accoglierne anche una terza. Il paradosso si completerà con l’introduzione della musica (sotto forma di strumenti quali chitarra o mandolino), un eccesso concettuale che mirava a coinvolgere nella rappresentazione pittorica anche la quarta dimensione, quella del tempo.
Di grande interesse la prima sezione, i Ritratti. I soggetti paiono riflettersi in uno specchio rotto, come avessero provato, a colpi di testa, a penetrarvi. Gli attributi non saranno più esclusivo appannaggio dei tratti fisionomici, ma si dilateranno ovunque, dal primo piano allo sfondo. (Degno di menzione il ritratto di Albert Gleizes eseguito da Jean Metzinger)
La sala dedicata ai paesaggi mostra, attraverso l’esempio di Hayden, il clamoroso irrompere del degrado industriale in un genere tipicamente borghese, solitamente concepito per il diletto dello sguardo. I papiers collés saranno poi emblema del coraggio d’osare. Materiali senza nobiltà concorreranno alla costruzione di un’architettura della rappresentazione sempre più aliena dal dato figurativo, straripante nella sua carica cerebrale. Cifra di Picasso sarà il riutilizzo della carta dei giornali, mentre quella di Bracque tappezzerie che imitano le venature del legno.
Infine il teatro, terreno di sperimentazione per artisti come Legér, Malevic e Picasso stesso. I bozzetti che compongono la sezione denotano la sottile identità degli elementi della natura con il linguaggio primordiale della geometria.
Merito di quest’esposizione è stato quello di presentare una trentina di personalità artistiche, (Rivera, Mondrian, Herbin, Marcoussis, Gris, Derain e gli italiani Gino Severini e Ardengo Soffici, per citarne alcuni) mettendo in evidenza la trasversalità stilistica di un’idea che ha percorso tutta Europa. Un elemento di rottura, questo, che dovrebbe spingere a riconsiderare il fenomeno non più in termini di cubismo, ma di cubismi, siano essi futurocubismi, tubismi o cubismo-suprematismi.
Alcuni esempi di scultura, Laurens su tutti, completano un percorso che vorrebbe essere a tutto tondo, ma che dimentica, (ma non nell’apparato critico) di ospitare un’opera del vero padre del movimento, Paul Cézanne.
stefano questioli
mostra visitata il 19 ottobre 2004
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