Categorie: Cinema

CINEMA

di - 27 Maggio 2019
In Italia, Santiago è stato in programmazione in qualche sparuta sala cittadina. Siamo seduti nella sala videodrome del Cinema Modernissimo di Napoli, uno spazio quasi domestico col tocco vintage nell’arredamento. Siamo circa una decina a ogni proiezione, pronti a sfidare la programmazione natalizia a effetti speciali. Siamo in sala per l’ultima fatica di Nanni Moretti, un documentario realizzato per ricordare un accadimento sul quale grava una certa coltre di silenzio, specie nelle generazioni che al cinema per vedere questo film non andranno (più la storia ci è vicina nel tempo, più resta sconosciuta). Si parla di Cile, di Salvador Allende, di Augusto Pinochet: Moretti redige una rappresentazione dei nostri tempi a partire dal passato, in una specie di migrazione del romanzo storico di manzoniana memoria nella forma del documentario, laddove i tanti Renzo e Lucia sono gli intervistati che prendono parola sul loro peregrinare.
Andiamo con ordine: una ripresa dettagliata del panorama della città di Santiago apre i lavori, mentre una composizione bandistica incornicia l’inizio e la fine della narrazione, unico momento non vococentrico della pellicola. In effetti, è il racconto degli intervistati a muovere le immagini mentre la voce fuoricampo di Moretti interviene solo qualche volta a sensibilizzare il percorso narrativo (Moretti in carne e ossa compare una e una sola volta, quando nega la sua imparzialità al militare cileno intervistato – si veda il trailer). Le persone intervistate sono inquadrate in primo piano, solo il volto mentre lo sfondo resta leggermente fuori fuoco; sono donne e uomini fuggiti alla violenza del regime militare di Pinochet grazie alla fuga nell’ambasciata italiana. Attivano il meccanismo della memoria nella forma del racconto, le parole pesano l’accaduto a partire dal sorriso di oggi senza poter dimenticare le sofferenze di ieri.
Nanni Moretti, Santiago Italia
Immagini di archivio e racconto/memoria di registi, operai, imprenditori. Sullo sfondo Unidad Popolar e Allende, sogno di una stagione socialista, umanista e democratico; 11 settembre ‘73, la storia che si scrive in tempo reale a mezzo radiofonico, le torture dell’Estadio Nacional e di villa Grimaldi: le parole non scritte commuovono il corpo mentre viene descritta la rocambolesca via di fuga escogitata verso l’accogliente ambasciata italiana quale avamposto umanitario nella barbarie militarista. Così, il racconto si chiude col viaggio verso l’Italia, l’arrivo a Roma, il lavoro offerto come strategia di integrazione per un popolo del quale si coglieva la sofferenza così vicina al passato prossimo fascista.
A memoria è il primo documentario di Moretti che vedo e, per la prima volta, non c’è stato spazio per il dolce.
Antonio Mastrogiacomo

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