Categorie: Cinema

Vizi e virtù della commedia romantica nell’era del digitale

di - 6 Febbraio 2025

Il quarto e ultimo capitolo della saga basata sui libri di Helen Fielding e diretto da Michael Morris sarà distribuito in anteprima il giorno di San Valentino e uscirà nelle sale italiane il 27 febbraio. La storia di Bridget Jones, la single-non-single più amata d’Inghilterra, ha avuto inizio nel non così lontano 1995. Il primo adattamento dall’omonimo romanzo, Il diario di Bridget Jones, arriva sul grande schermo nel 2001 e fin da subito si guadagna uno status di film-icona. La protagonista, interpretata da Renée Zellweger, va contro ai dettami dei primi anni duemila sulle apparenze e le aspettative di una giovane donna in carriera: con Bridget Jones siamo lontani dall’ossessione per la moda che nutrivano Anne Hathaway e Emily Blunt ne Il diavolo veste Prada (2006) e dalla componente action indissolubilmente legata a Sandra Bullock in Miss Detective (2000).

Bridget Jones è una trentenne che vive sola a Londra e sopporta il peso di una società – di una famiglia, di un contesto lavorativo – che la vorrebbe accompagnata a un uomo, possibilmente di bell’aspetto, pronta a sposarsi e a migliorare la propria apparenza fisica. La controparte maschile si compone di due icone del cinema britannico: da una parte il playboy Daniel Cleaver, interpretato da Hugh Grant; dall’altra, il sensibile e tenero Mark Darcy – sì, proprio come quel Mr. Darcy descritto da Jane Austen – ruolo affidato a Colin Firth.

All’altezza dell’uscita del primo film, il casting non potrebbe rispecchiare la realtà più di così: Grant ha la fama dell’attore abbagliato dalle luci della ribalta, sì, con qualche scandalo alle spalle ma, al tempo stesso, giudicato irresistibile dal pubblico; Firth, invece, conta all’attivo ruoli dove interpreta perlopiù la parte dell’uomo sensibile – entrambi terribilmente british nel loro modo d’essere. A spiccare è, però, Zellweger, che avvia una fortunata carriera nel mondo del cinema – fino ad arrivare a ottenere il riconoscimento da parte dell’Academy di ben due Oscar.

Bridget Jones: Mad About the Boy

Il diario di Bridget Jones e il sequel Che pasticcio, Bridget Jones! (2004) sono film che sono stati analizzati e per certi aspetti giustamente criticati, a posteriori e dalle generazioni che, per ragioni anagrafiche, non hanno potuto vederli al cinema. Il sessismo evidente nei comportamenti di Cleaver, a cui Bridget Jones in certa misura cede, e gli onnipresenti riferimenti grassofobici al corpo della protagonista, risultano in un invecchiamento non ottimale della pellicola. È pur vero che si tratta di una serie di film nata e sviluppata in anni in cui la sensibilità per certi temi sociali, soprattutto nei prodotti audiovisivi di massa, mancava – mancanza che, però, è stata prontamente sopperita dal team di sceneggiatori ingaggiato per il terzo film della serie, Bridget Jones’s Baby (2016), e il quarto e ultimo, Bridget Jones: Mad About the Boy – Un amore di ragazzo (2025).

Il messaggio di fondo di Bridget, che disattende le aspettative dei genitori sul vincolo sociale del matrimonio e affronta a testa alta alcuni ostacoli lavorativi che le si presentano, è sostanzialmente ottimista: non serve accontentare tutti in una società eteronormata che relega il ruolo della donna a madre, lavoratrice e moglie impeccabile in ogni momento e in ogni situazione. Si tratta di un percorso che Bridget affronta, come qualsiasi personaggio in fieri della tradizione letteraria, con una progressiva presa di consapevolezza e coscienza, fino a che non la incontriamo di nuovo, a distanza di quasi 25 anni dalla sua prima apparizione sul grande schermo, come una donna matura e cambiata.

Se già nel capitolo precedente vi era un evidente accenno al tema della maternità che la protagonista avrebbe dovuto affrontare, in questo ultimo episodio della saga Bridget si ritrova a fare i conti con una serie di preoccupazioni che la donna contemporanea si ritrova ad affrontare: da quello che nei paesi anglosassoni viene definito ageism, ovvero un atteggiamento diffidente e discriminante nei confronti di persone di una certa età, all’approcciarsi alle nuove tecnologie di dating come Tinder, fino al dover gestire due figli, una casa e conciliare il tutto con il lavoro.

Bridget Jones: Mad About the Boy

Il film si presenta come una buona riuscita di questa «operazione nostalgia» che tanto si è vista nel cinema, in tempi recenti: nel suo seguire la storia di Bridget Jones, l’opera diretta da Michael Morris parla allo stesso pubblico che aveva conosciuto la protagonista più di 20 anni fa. Riadattare da zero il personaggio ai tempi moderni sarebbe stata un’operazione forse troppo azzardata e che, in parte, avrebbe snaturato l’origine e il contesto in cui la protagonista si muove.

Bridget Jones, a modo suo, si interfaccia con i grandi cambiamenti che la tecnologia ha apportato e nota il diverso comportamento che ha nei confronti di alcuni aspetti della vita con alcuni dei comprimari che compongono il film. Dall’ingaggiare una baby-sitter che guardi i figli mentre lei è al lavoro, fino a sperimentare le famigerate app di dating: Bridget scopre che, alla fine, non c’è un effettivo discrimine per cose che si possono considerare “da giovani” e “da vecchi”, ma tutto sta nel come ci si sente a riguardo – come evidenzia il saggio personaggio della ginecologa, interpretato, non a caso da Emma Thompson.

Il focus, in questo ultimo capitolo, è tutto sulla protagonista, nonostante venga riservato un piccolo spazio anche a una minima redenzione di Daniel Cleaver, che sembra aver capito i propri errori del passato. E mentre Jones si districa nelle faccende quotidiane, lottando contro un ideale di donna che la vorrebbe angelo del focolare domestico, chi, in sala, osserva le sue piccole ma grandi gesta eroiche non può che finire a fare il tifo per lei.

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