Categorie: Danza

Bolzano Danza 2025 è il festival che insorge con i corpi

di - 20 Agosto 2025

Tra le parole catturate nel giardino del BoDa, lo spazio a ridosso del Teatro Comunale inaugurato dal nuovo corso della direzione artistica di Anouk Aspisi e Olivier Dubois, a determinare il programma e le scelte artistiche del festival Bolzano Danza della Fondazione Haydn è un desiderio di condivisione di quello che si ama, e che per questo si sostiene e si mostra: una pratica curatoriale che si nutre di forme affettive, lontana dall’ostentazione, vicina a intrecci di maglie, parentele, affiliazioni, complicità, amori che alimentano e costellano i percorsi nell’arte e i sentimenti dei suoi curatori.

ENCANTADO, Lia Rodrigues ©Sammi Landweer

Nel capoluogo alto atesino troviamo un disegno articolato, strutturato in più fasi, che guarda da un lato al contesto internazionale con nomi e lavori di rilievo, ma che allo stesso tempo riserva un’attenzione speciale alle giovani generazioni e a un’emergente scena italiana che sta marcando con sempre maggiore chiarezza un segno distintivo nel panorama attuale della danza e della coreografia. Segno di questo riconoscimento è una sezione speciale dedicata alle produzioni del centro coreografico Korper, ideato da Gennaro Cimmino, direttore artistico e coreografo scomparso prematuramete lo scorso anno.

È un festival che in questo senso preme, rivendica il senso del fare mondo, e lo fa secondo un moto insorgente, come indica il nome di questa Trilogia della Passione che inaugura il triennio 2025-2027, nella sua prima tappa Insurrezione, appunto.

Nel programma dei primi giorni, Lia Rodrigues e Cherish Menzo presentano due lavori dove la riflessione sul corpo si affianca al pensiero dei margini, ai suoi linguaggi, alle potenze abissali, centrifughe e spirituali che li abitano.

ENCANTADO, Lia Rodrigues ©Sammi Landweer

Lia Rodrigues, coreografa brasiliana, con Encantado apre a una visione di toccante delicatezza. Corpi periferici quelli delle e degli interpreti della compagnia, avvolti da coperte colorate recuperate nei mercatini di Rio de Janeiro e in giro per il Brasile. Corpi che si muovono tra l’esposizione e il nascondimento, come le moltitudini che attraversano le megalopoli di San Paolo o di Rio, avvolte da manti, usati per dormire, coprirsi, riposarsi. Corpi – tela, usando un’espressione della poetessa afrobrasiliana Leda Maria Martins, che costruiscono geometrie plastiche, superfici tese, volumi vuoti. Corpi connessi. I colori, accessi, vari, brillanti, di questo patchwork che si fa e si disfà sulla scena, celano le materie oscure di vite e mondi tropicali, che, dietro il falso mito della miscigenação (meticciato), continuano a vivere in un sistema edificato su un razzismo strutturale. La produzione prende forma nel cuore del Complexo da Maré, favela carioca dove Lia da anni lavora in percorsi artistici e pedagogici animati da una una visione orientata dall’eredità del pensiero di Paulo Freire. Si materializza nel quadro della crisi sanitaria causata dal covid-19, e attraversa, con molte complicazioni, la fase pandemica, particolarmente brutale in Brasile a causa dell’oscurantismo e del negazionismo della classe politica allora al potere, questione ancora aperta nel dibattito politico e giuridico, causa di gravi conseguenze esistenziali e sociali.

ENCANTADO, Lia Rodrigues ©Sammi Landweer

Rodrigues ricrea, in una colorata e incantata visione, la figurazione del mondo in ombra che solca e scrive il paesaggio urbano, di vite nude, senza diritto, come quelle afrodiasporiche e indigene, lasciando emergere  la potenza centrifuga dei loro corpi,  e insieme la grazia, l’efflorescenza, l’esuberanza, l’indomata e indomabile pulsione alla vita. Ne sentiamo i suoni, i richiami ancestrali, in un orizzonte musicale, tra il rituale e il minimalista, che si struttura in una unica composizione dove si ripetono, come moduli, estratti di canti appartenenti alla cultura del popolo Guarani Mbya. Canti di lotta, per il riconoscimento dei territori sacri e intoccabili della loro cultura, violati costantamente da un estrattivismo e da una necropolitica che non lasciano scampo al pianeta, alla terra, alla foresta, alle vite, umane e più che umane, che li abitano.

La coreografia è un ammasso celestiale, dove la danza si compone e scompone continuamente, diventa materia viva, vibrante e mutante di corpi e tessuti, rapiti in un paesaggio estatico che non conosce sosta e che muta costantemente forma. È un rito di gioia, un invito all’incanto, al tenere insieme il dolore e il pianto, il riso e la lotta, a lasciarsi attraversare da forze sconosciute e sorgenti, presenti e passate, spettrali e attuali, che si muovono tra le acque dolci e salate, tra le piante, tra le rocce.

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ENCANTADO, Lia Rodrigues ©Sammi Landweer

Di materia, e di materie oscure, è fatto anche il lavoro che la coreografa Cherish Menzo ha presentato a Bolzano Danza, DARKMATTER, seconda creazione con la sua firma, e allo stesso tempo secondo episodio di una trilogia che recentemente è giunta a compimento con FRANK, produzione debuttata nel mese di maggio al Kunstenfestivaldesarts.

Menzo è forse una delle coreografe e danzatrici più interessanti di questo tempo. Il suo lavoro affonda nella riflessione sul corpo e sulla corporeità nera, sul tema dell’oscurità della (sua) materia e sull’invisibilità, secondo un pensiero critico informato dalle teorie del femminismo, dalle Black Posthuman Theories (in particolare Philip Butler), e dall’afrofuturismo, letti ma anche masticati, disossati, processati nel confronto con la materia viva del corpo.

ENCANTADO, Lia Rodrigues ©Sammi Landweer

Come evidenziato dal titolo, DARKMATTER rivolge la ricerca alla linea del colore, al corpo nero indagato dall’artista come materia oscura per eccellenza. Riprendendo un concetto legato dell’astrofisica che indica come questo termine tutto ciò  che non emette radiazione elettromagnetica, Menzo stretcha e esplode tale nozione,  interrogando da un lato le forme stereotipiche e razziali con cui si è costruita l’immagine del corpo nero nella cultura europea e nordamericana, dall’altro amplificando la violenza epistemica di questa narrazione, rivendicando uno spazio all’oscurità, alla distorsione, al mostruoso, al buio, all’invisibilità, alla continua trasformazione a cui è il corpo nero consegnato da una storia feroce. Di questo fa un campo di speculazione incarnata.

Il corpo-macchina, oggettificato, zombie, animale, mostruoso, alla base della sua ricerca, emerge dal background diasporico con cui si confronta la coreografa di origine surinamese: un corpo legato alla storia delle persone schiavizzate, ai corpi della tratta atlantica. È un corpo fuggitivo, dove a fuggire continuamente è la forma, in una tecnica di danza vòlta a una defigurazione senza tregua, tirata, esplosa, forzata. Con essa fugge la stessa materia del corpo, rovesciata, vomitata, come per vedere che cosa può accadere se l’interno e l’esterno di questo nero si mescolano.

ENCANTADO, Lia Rodrigues ©Sammi Landweer

La scrittura di danza si ispira a una specifica tecnica di mixaggio presente nella scena hip hop degli anni Novanta, chiamata chopped and screwed dal nome del dj che ne fece una propria cifra stilistica, DJ Screw. Rallentamenti, torsioni, accelerazioni improvvise, sincopi animano i movimenti di Menzo e del danzatore colombiano Camilo Mejía Cortés, con lei in scena. Scosse, deragliamenti, da cui appaiono posseduti, determinano in una qualità di presenza ambigua, svuotata, travolta, attraversata da presenze altre e insieme allertata.  Una dimensione della transcorporeità che Menzo ricerca nel  con la cultura afrodiasporica del Suriname, in riferimento alle entità ancestrali presenti nella religione animista, winti,  che dimorano nello spazio in-between tra umano e più che umano.

Il liquido nero con cui si cospargono i corpi, l’apparato vinilico, le dentature d’argento, la vischiosità del pavimento, la tenuta BDSM sono il correlato scenico di una discesa senza riparo, di una prefigurazione che si allontana in una distanza irreparabile da ogni idea di centro e di conciliazione, e che diviene forma e pratica potenziale per immaginare altri corpi, scavalcando l’idea stessa di futuro, secondo il tempo fuori dall’egemonia del chronos, in una danza senza ritorno.

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