Post Disaster, La Palude Siderale, Paludofobia, Giulia Crispiani, Gaspare Sammartano, Taranto, Tetto via Pentite, 11.04.2025, ph Cosimo Calabrese
Che cos’è il design? Si chiude con questa domanda, lanciata alla community del progetto, questo 2025. Tommaso Bovo, docente e critico del design insieme ai suoi studenti dell’ISIA di Firenze, sta tentando di tracciare le molteplici, possibili definizioni del design in un processo che potrebbe prolungarsi all’infinito senza trovare traiettorie univoche di significati e significanti per una disciplina immanente alla realtà, al quotidiano delle nostre esistenze. È proprio a partire dalla consapevolezza di questa molteplicità inafferrabile che possiamo riavvolgere il nastro di quest’anno che si sta concludendo nel segno di un mondo, di un pianeta sempre più ingovernabile e caotico segnato da diffusi venti di guerra, da crisi umanitarie e ambientali. Un’azione di indagine tra attitudini, segnali, prodotti, libri e progetti che meritano di essere evidenziati a futura memoria o semplicemente a indicare possibili attenzioni e condivisioni.
Cominciamo da una raffinata operazione di riedizione, iniziata nel 2012 grazie alla collaborazione con l’archivio che conserva la memoria di Gio Ponti. Si tratta di un lavoro sulla tradizione, sulle radici del design italiano che deve tantissimo all’instancabile progettualità dell’architetto e designer milanese che si considerava un pittore, un artista mancato. Ecco che pezzi storici e oggetti da collezioni realizzati da Ponti per abitazioni private, progetti speciali o piccole serie tornano a nuova vita, attivando un processo vitale di traduzione nel contemporaneo della storia della cultura del progetto moderno. Bottiglie in legno, mani a sei dita, cavalli in metallo generano il fascino di un’inutilità densa e indispensabile chiedendo una condivisione immaginativa. Ecco l’immaginazione, la fantasia pontiana è un buon viatico per immaginare, progettare nel presente sapendo che la modernità è collassata da tempo in un eterno presente che blocca il possibile, la progettazione di scenari alternativi alla ferocia dell’individualismo esasperato e belligerante.
Sono pensieri e progetti instabili che abbiamo ritrovato nella mostra di Franco Raggi in Triennale insieme alla debordante creatività di Elio Fiorucci. Immaginazione e retromania, un cortocircuito tutto da indagare. Silvio Lorusso ha dato forma a questa tensione in un bel saggio edito da Krisis Publishing dal titolo Il designer senza qualità. Saggi su design e disillusione. Tante domande e poche certezze per orientarsi in un tempo dove il progetto è travolto dalle mutazioni, le disillusioni che tanti progettisti contemporanei devono attraversare. Dietro l’immagine patinata e positiva del design world si nascondono inciampi con cui il design come disciplina e azione deve misurarsi. Cosa possiamo fare? Continuare a guardare da un’altra parte scegliendo l’irrilevanza nelle questioni centrali di questo tempo strambo e oscuro o provare a partecipare a un cambiamento di paradigmi professionali e operativi? Si parte dal possibile, dall’umana capacità di negoziazione con le radicali trasformazioni che attraversano il mondo in cui viviamo e progettiamo.
Occorre non farsi travolgere e progettare da logiche disumane. Riarmarsi di possibile come ci segnalano i Post Disaster (Gabriele Leo, Gabriella Mastrangelo, Grazia Mappa, Peppe Frisino). Le loro pratiche guardano a Taranto, città del collasso, del disastro della modernità industriale mettendo in campo, in azione una progettualità interdisciplinare, a volte speculativa di una potenza immaginativa che riguarda corpi umani e non-umani. La città di Taranto è vista come entità segnata da danni ambientali e disinvestimenti economici a vantaggio di interessi globali. Città manifesto di uno stato di crisi permanente dove il design, il progetto può ri/trovare ne La Palude Siderale, approcci affettivi e intersezionali con cui decostruire la passività, la rassegnazione del presente per immaginare, tracciare narrazioni ecologiche e interrogarsi sul disastro che circonda la città, espandendosi sul Mediterraneo. Dai tetti della città storica, il possibile si apre a contaminazioni operative, si fa laboratorio di possibilità, creazione di spazi dove non è la logica del capitale estrattivo a decidere, ma la vitalità delle comunità che attraversano la decadenza del presente.
I tetti diventano zone di sospensione temporanea in cui sperimentare nuove modalità di organizzazione collettiva, espansa. Voci, soggettività in divenire agiscono il possibile indagando e demolendo lo status quo. Sempre domande, come si abita il disastro? È una domanda che dovremmo porci tutte e tutti. Chiudiamo questo stringato attraversamento con un invito a rileggere, a riscrivere La speranza progettuale. Ambiente e società di Tomas Maldonado, un testo del 1970 che ci invita a essere all’altezza del mondo che oggi stiamo vivendo. Il design che ruolo può avere, quali azioni/trasformazioni può attivare, quale marginalità o centralità può scegliere? Cercare di cogliere analogie e dissonanze con il testo di Maldonado mettendolo in relazione con il presente.
C’è sempre più necessità di nuova radicalità nel caos del presente. In questa dimensione di riverberi della storia, dei problemi si può individuare una tensione interrogativa più che risolutiva del progetto. Tanto è cambiato rispetto alle tensioni etiche e politiche di quel momento in cui la speranza era più di una possibilità ora nel tempo presente possiamo guardare al desiderio e alla spinta attiva, concreta di costruire nuove condizioni di vita, di altri mondi possibili. Costruiamo nuovi immaginari, nuove possibilità di cambiamento. Non è forse, questo il ruolo sociale del design?
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