Qual’è il suo personale percorso professionale e come si è accostata al settore della pedagogia del patrimonio?
Ho cominciato a fare ricerca nel campo dell’educazione al patrimonio agli inizi degli anni ’90, nel momento in cui la Provincia di Ravenna stava muovendo i primi passi nella realizzazione del suo Sistema Museale. Facevo parte del gruppo di lavoro che si occupava della progettazione del Sistema e i dirigenti del Servizio Cultura mi hanno affidato il compito di ideare e organizzare tutto ciò che riguardava l’ambito della didattica. Così è nata l’idea di costituire un Laboratorio Provinciale per la didattica museale. Provenendo da studi classici di Storia antica, mi sono formata sul campo, lavorando per quasi quindici anni a stretto contatto con gli insegnanti, con gli operatori museali, con i dirigenti delle varie istituzioni e, nei musei, con persone molto diverse fra loro per età e provenienza culturale.
Come docente universitaria come commenta le evidenti carenze in questo settore dei piani di studi accademici? Sembra ancora l’ultima delle preoccupazioni quella di formare validi operatori capaci di accogliere, coinvolgere, conquistare i pubblici dei musei…
Tasto dolente quello del disinteresse degli atenei italiani per la nostra disciplina. Ciò che mi sorprende di più è che le poche proposte formative strutturate, e mi riferisco a quelle di maggiore spessore, provengano da Dipartimenti di Pedagogia o di Scienze della Formazione, da enti di formazione pubblici o privati. Mentre dalle Facoltà di Conservazione nulla, o quasi. Sono stata chiamata a progettare laboratori e master per la sede universitaria di Ravenna, ma sono state occasioni sporadiche fortemente sostenute da un’unica docente, la prof.ssa Licia Casadei che, aveva compreso già dieci anni fa quanto fosse importante insegnare agli studenti di Conservazione le metodologie più efficaci per trasmettere conoscenza.
Quali i progetti attualmente in corso e come è cambiato il suo metodo nel corso degli anni?
Negli anni il mio metodo è cambiato assieme a
Com’è lavorare sul territorio?
Ho la fortuna di operare in realtà territoriali molto stimolanti dal punto di vista culturale ed educativo. In particolare con i dirigenti della Provincia di Modena e con i responsabili del loro Sistema Museale si lavora sempre in un’atmosfera di fermento progettuale e di grande creatività. Qui i pensieri e le azioni corrono veloci e trovo le condizioni ideali per mettermi in gioco di continuo e sperimentare nuove strategie operative.
Come vede il panorama nazionale della didattica museale?
Estremamente ricco e variegato. Non solo stiamo colmando il divario rispetto a ciò che accade nel resto d’Europa, ma lo stiamo facendo con il nostro stile tutto italiano, una combinazione interessante di creatività e rigore scientifico, fantasia e intuizione.
intervista a cura di annalisa trasatti
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Pubblicazione: La qualità della pratica educativa
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